La presidente Currò ed il legale Gianquinto spiegano: “Se è vero che per ogni donna uccisa siamo tutte parte lesa, serve dimostrarlo anche con la presenza nelle aule dei tribunali”
«Noi del Cedav onlus chiediamo l’aiuto di tutte le donne e di tutti gli uomini che, nella nostra città, condividono questa nostra scelta, ad essere fisicamente con noi il 15 dicembre in Corte d’Assise e nelle udienze successive per rivendicare il diritto alla libertà di tutte le donne, alla libertà di vivere. Essere in tribunale vuol dire essere ciascuna di noi Omayma ma anche …..tutte quante le donne uccise per mano di uomini, testimoni silenziose in carne ed ossa. Tutte insieme possiamo essere una forza! La forza del cambiamento della mentalità».
E’un appello accorato e forte quello che Carmen Currò, presidente del Centro donna antiviolenza e l’avvocato Maria Gianquinto, legale del Cedav Onlus, rivolgono a tutti i messinesi, uomini e donne.
Dall’aprile 2016 è in corso il processo per il femminicidio di Omayma Benghaloum, nel quale è imputato il marito Faouzu Dridi (vedi qui). Il Cedav onlus si è costituito parte civile e chiede adesso a tutti messinesi di non stare a guardare ma di partecipare, non solo emotivamente ma anche fisicamente, presenziando all’udienza di domani.
“E’ stato fin qui un percorso faticoso e complesso in quanto la costituzione di parte civile è stata ostacolata dal parere sfavorevole del P.M.. La costituzione di parte civile del Cedav onlus – continuano Currò e Gianquinto – non è un atto formale, ma fortemente politico e di civiltà, tesa a ribadire che un omicidio di una donna non è solo un fatto delittuoso con nessuna connotazione di genere, ma ci riguarda tutti e tutte”.
“Troppe volte – raccontano – in questo tipo di processi in aula si trovano solo gli imputati e i loro avvocati. Le famiglie delle vittime, spesso, non trovano nelle aule dei tribunali la presenza di donne necessarie a dargli la forza a sopportare la difficoltà di processi dove la vita della donna uccisa viene passata sotto la lente di ingrandimento molto di più di quella degli imputati”.
Secondo Currò e Gianquinto, “frasi non vere e pesanti sono state proferite dall’imputato sulla vita di Omayma, sulla sua scelta di volersi separare perché innamorata di altro uomo. Omayma era una donna lavoratrice e stimatissima da tutta la comunità, dedita al lavoro e alla famiglia”.
«Se è vero che per ogni donna uccisa siamo tutte parte lesa, serve dimostrarlo anche con la presenza nelle aule dei tribunali. Abbiamo fin ora lottato per salvaguardare il nome di Omayma e il diritto delle sue figlie di avere un futuro sereno, nonostante tutto, oggi protette in una comunità. Abbiamo lottato – concludono nel documento – perché Omayma, le sue scelte di vita, la sua forza e le sue fragilità, vengano difese e preservate e affinché la vittima e le sue scelte di vita non vengano usate come giustificazione di atti ingiustificabili».