Presentato il volume "Piemonte, Messina: fenomenologia di un recupero". Immagini e testo raccontano la storia collettiva di un ospedale destinato allo smantellamento ed invece salvato e riportato ad un diverso destino.
“Non tutti i silenzi sono uguali. Per esempio, c’era quello che tutti videro a un certo punto soffiare dal mare e che portava con sé la salmastra fiducia che tanto, prima o poi, chiunque avrebbe finito per scoraggiarsi…”.
E invece.
Invece c’è stato chi non si è scoraggiato e questa è la storia collettiva di chi non si è arreso ed ha reso possibile una rinascita: la seconda rinascita del Piemonte.
La prima, negli anni successivi al terremoto del 1908 quando l’ospedale divenne simbolo della vita che vince e la seconda, con la salvezza e la fusione con l’Irccs.
Lo hanno chiamato “Piemonte, Messina. Fenomenologia di un recupero”, il libro che racconta una storia contro corrente per la nostra città, una piccola storia di tenacia e speranza. La frase iniziale è una delle numerose che attraversano il libro, alternandosi ad una carrellata di foto che raccontano quel che era e quel che è. I testi, che sono spicchi di poesia, sono di Dario Tosini che insieme ad Angelo Aliquò, direttore generale, a Dino Bramanti, direttore scientifico, hanno voluto raccontare una storia a lieto fine, che affonda nel passato e guarda al futuro. Le immagini, che hanno la forza prepotente dei quadri e che a volte sono un pugno nello stomaco, a volte stupiscono, a volte parlano di nostalgie, sono di Luca Savettiere. Il libro, un piccolo gioiello per chi crede nella Messina come identità di un popolo, è edito da Di Nicolò Edizioni. Se volete farvi un regalo per ricordarvi da dove venite e dove volete andare fatelo così.
“Vedrete- scrive Tosini- uno spazio violato e di fronte un obiettivo al quale poco interessa mettere ordine ma semmai scompaginare. Attorno un mucchio di vite passate e un boato di buone intenzioni. Sullo sfondo il mare dello Stretto e le correnti che ci vuole coraggio a starci in mezzo per il tempo di una vita”.
La storia di una rinascita inizia da immagini di morte. Gli scatti ci mostrano scorci di macerie come dopo un raid aereo, un sisma, un incendio, una devastazione. Ci sono muri scrostati, mattoni caduti, porte chiuse da erbacce, calcinacci, macchinari guasti o dimenticati, lettini abbandonati, ancora lì, con le flebo, i camici e i cuscini per terra, come se gli abitanti di un paese sconfitto siano fuggiti lasciando nei luoghi tracce di vita vissuta. Sembra quel che resta dopo un assedio. Ma ci sono anche immagini che, pur nell’evidente stato di abbandono mostrano ora un crocifisso, ora una Madonna piangente, che ci ricordano quante vite sono state salvate, quanti bambini sono venuti al mondo, quante lacrime sono state versate e quanti miracoli umani sono stati fatti.
E a fianco ci sono le immagini del recupero, della riqualificazione faticosa perché, alle battaglie tra Guelfi e Ghibellini di una città che non si ama devi aggiungere anche quelle contro la burocrazia che costruisce muri di silenzio e di ostacoli.
“Abbiamo un sogno- ha detto Aliquò in occasione della presentazione del libro- Sogniamo che attraverso la ripresa dell’ospedale si abbia anche una rinascita culturale. E’ un ospedale nato dalla tragedia, ma poi anche gli uomini, attraverso la poca cura, l’indifferenza, hanno determinato una situazione di abbandono. Anche la poca cura è aggressività. Quando abbiamo aperto i lucchetti abbiamo visto immagini bruttissime. Per questo abbiamo voluto fissare alcuni momenti in questo libro, per non dimenticare ma anche per dimostrare che si può cambiare rotta e porre fine all’aggressività. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare persone meravigliose con le quali, in questa fase di ricostruzione abbiamo dimostrato che si può davvero cambiare. Potrei raccontarvi dei risultati raggiunti, di un bilancio passato da 20 milioni a quasi 70 ma preferisco raccontarvi, con orgoglio, che qui c’è gente che lavora e si spende per gli altri. Adesso abbiamo un sogno, un ospedale dentro la città, senza muri”.
A margine, tra i dati scientifici o relativi ai reparti, agli interventi, ai risultati raggiunti sul piano sanitario, c’è anche quello che dal 15 aprirà l’OBI (osservazione breve) e successivamente saranno spostati da Villa Contino al plesso centrale tutti gli ambulatori (anche quelli del Papardo), per andare incontro alle esigenze dei pazienti. Ci sarà anche una camera mortuaria nuova, per accogliere le famiglie nel momento più duro.
“Dall’ospedale Piemonte è passata gente che ha fatto la storia della medicina- ha aggiunto Dino Bramanti– Certo, ricordo da studente quando i topi passeggiavano indisturbati… Ho visto i fasti, ho visto e il declino ed ora l’inizio di una rinascita. E’ solo l’inizio, perché noi riusciamo a volte a battere la malattia, ma la burocrazia non siamo riusciti a vincerla….. Abbiamo scongiurato la chiusura del Piemonte, ma vogliamo fare molto di più. Per completare la riqualificazione serve il Tecno Polo, che non è il giocattolo di Bramanti o Aliquò, ma è il futuro per la città, per i giovani costretti ad andare via. I quasi 100 milioni di euro che siamo riusciti ad avere per Messina dal ministero serviranno a migliorare l’offerta sanitaria, ad unire ricerca e assistenza, a dare lavoro, tecnologia. Ultimeremo il Bio parco, e stiamo verificando le disponibilità dei Policlinici Gemelli e Tor Vergata a diventare Irccs. Altrove accade questa sinergia tra ricerca e università, perché il dialogo è importante. Noi non abbiamo Maradona, nessuno di noi lo è. Ma abbiamo una squadra”.
Che sia un lavoro di squadra lo si comprende anche da un’altra iniziativa: i piccoli quadri con le foto delle mamme del Piemonte: tutte foto in bianco e nero, realizzate da Gianmarco Vetrano, che ritraggono le dipendenti dell’ospedale insieme ai loro bambini, in angoli della struttura, il giardino, un reparto, un ufficio.
“Al primo approccio mi son sentito un archeologo- ha commentato Luca Savetteri, autore delle foto del libro sul Piemonte- all’interno di un monumento funerario nel quale scoprire le stratificazioni storiche…”
Il volume è un pezzo di storia, è quel bivio che qualcuno ha attraversato per cambiare direzione ed è un modo per dire che è possibile smettere di “Girarsi dall’altra parte come sintomo. Girarsi dall’altra parte come malattia. Girarsi dall’altra parte come rimedio” e dopo aver cambiato la rotta: “Continuare a credere di essere nel luogo migliore della terra, aspettando un nuovo giorno”.
Piemonte, Messina.
Rosaria Brancato