Al Teatro dei 3 Mestieri in scena lo spettacolo “Icaro - variazioni sul mito”, rivisitazione contemporanea del mito classico
MESSINA – Icaro è il tracotante, è colui che pecca di hybris, è l’incoscienza, la disobbedienza, l’oltraggio.
Ma Icaro è anche il coraggio di volare, la voglia di conoscere, la ricerca della libertà, l’andare incontro al rischio per raggiungere grandi obiettivi, il puntare in alto, direttamente al sole, sebbene il pericolo sia quello di bruciarsi e, più in alto si sale, più rovinosamente si può precipitare.
Il mito
Nella mitologia greca Icaro è il figlio di Dedalo, inventore e costruttore del labirinto per il Minotauro. A padre e figlio è stato impedito di lasciare Creta, per non svelare a nessuno i segreti del suo labirinto. Per fuggire a tale imposizione, Dedalo costruisce delle ali che attacca ai loro corpi con la cera. L’invenzione funziona e i due riescono a volare via. Ma Icaro, investito dall’ebbrezza del volo non ascolta i paterni ammonimenti di restare lontano dal sole e se ne avvicina sempre di più, finché il calore scioglie la cera e lo fa precipitare in quella parte del mare che prende il suo nome: Mar Icario.
L’Icaro di Ocram Dance Movement
Il giovane diventa il protagonista dell’ultima creazione dell’Ocram Dance Movement: “Icaro – variazioni sul mito”. La compagnia – associata a Scenario Pubblico – viene fondata nel 2013 da Marco Laudani e Claudio Scalia, consolidandosi negli anni e girando il mondo con un ensemble di danzatori dal repertorio ricco e poliedrico.
Al Teatro dei 3 Mestieri di Messina portano un Icaro diverso, una rivisitazione contemporanea del mito, a partire da un’idea di Marco Laudani, con le sue coreografie (e assistente alla coreografia Rachele Pascal), la regia dello stesso Marco Laudani e Sergio Campisi, i costumi di Claudio Scalia, la realizzazione a cura di Gabriella Palomba e il giovane Ismaele Buonvenga ad interpretare Icaro.
Sotto le prime note di “Nel blu dipinto di blu” – che recitano “penso che un sogno così non ritorni mai più“ – si apre la sua storia. I movimenti di Buonvenga, sinuosi, eleganti, dinamici, sono incessanti, si susseguono, dai più liberi ai più tecnici, si trasformano continuamente (non a caso simbolo della compagnia è l’onda, immagine dell’eterno movimento, del cambiamento e del dinamismo). Diventano un tutt’uno con le musiche che li raccontano – da Domenico Modugno fino a Ludwing van Beethoven, passando per Frank Sinatra, Davidson Jaconello, Stefan Levin – e con le poche ma incisive parole che li incorniciano e contestualizzano – i testi sono di James Joyce, Debora Benincasa, a cura, con adattamenti, di Sergio Campisi e Ismaele Buonvenga.
Un nuovo Icaro simbolo della libertà
Nel romanzo Dedalus di James Joyce – che si richiama ampiamente al mito – il protagonista Stephen, alter ego di Joyce, afferma: “Quando nasce l’anima di un uomo in questo paese, le vengono gettate reti per impedirle di fuggire. Mi parli di nazionalità, di linguaggio, di religione. Io cercherò di sfuggire a quelle reti”.
In queste parole – che si ripresentano più volte (ai tre simboli di nazionalità, linguaggio e religione corrispondono, inoltre, tre immagini corporee precise che Buonvenga ripete) – si concentra la chiave di lettura dello spettacolo: la volontà di stravolgere l’immagine che più tradizionalmente si ha di Icaro. Icaro non è più, qui, l’anti-eroe che troppo osa e tutto perde, il giovane incosciente a tal punto da sfidare il sole senza esserne all’altezza, ma colui che riesce ad andare oltre le costrizioni e i dettami prestabiliti dalla società, colui che ha desiderato liberarsene, ha desiderato volare via fino a sopra il sole e, anche se solo per un attimo, ce l’ha fatta.
Come l’Icaro di Matisse
Buonvenga è perfetto nel ruolo, Icaro lo immagino proprio così, nei suoi movimenti, nelle sue espressioni. Tra le luci annebbiate, rinchiuso all’interno di una colorata recinzione fatta di pezzi di stoffa, ci racconta l’angoscia soffocante della costrizione. Tra i pezzi di stoffa si nascondono, però, proprio le ali di Icaro – in una brillante resa scenografica. Una volta indossatele, Icaro ci racconta, invece, la leggerezza della libertà.
Prima di mettere le ali, Icaro indossa una veste nera e lì tutto si ferma. Niente musica di sottofondo, nessuna parola, solo un silenzio che si fa incredibilmente rumoroso.
Buonvenga diviene così una sagoma nera nel buio, rendendo palese il riferimento all’opera Icarus di Henri Matisse. Matisse dipinge, nei suoi papiers découpés, un Icaro dal finale diverso. È una sagoma nera che gioca nel blu di un cielo stellato, cercando di toccare le stelle con la punta delle dita. Un Icaro che danza tra le stelle, un Icaro il cui pericolo del sole sembra lontano.
Buonvenga lo incarna pienamente, sembra farlo uscire dall’opera e offrire dinamicità e continuità a quello stesso movimento, reso immobile ed eterno nella raffigurazione artistica, a tal punto che, dopo aver osservato il danzatore, anche lo stesso Icarus disegnato sembra prendere vita e danzare tra una stella e l’altra.
Matisse, su quella sagoma nera che rappresenta Icaro, decide di far spiccare un cerchio rosso, il suo cuore. Lo stesso avviene per l’Icaro della trasposizione teatrale, un cerchio rosso sulla sua veste nera accentra le attenzioni.
Il protagonista lo osserva spesso, se ne interroga. “È il mio cuore papà” esulta inizialmente, ma poi si corregge “forse mi sbaglio, forse è solo il sole che brucia”. Su questo duplice senso gioca lo spettacolo ma, che sia il cuore o il sole, Icaro ha solo una cosa da dire: “sapessi come è bello papà!”.
Raggiungere il sole
L’essere umano non ha ali, è destinato all’orizzontalità, ma ogni nostro sogno, ogni desiderio, ogni aspirazione alla libertà aspira all’alto, alla verticalità, all’ascesa, al volo. Icaro, e la sua danza, ce la fanno. Icaro si libera da quelle reti che lo trattengono al suolo e tocca le stelle.
Seguendo la sua scia luminosa ci innalziamo anche noi, con lui anche noi riusciamo a raggiungere il sole, ma senza bruciare. Questo è il potere dell’arte.
da un’idea di Marco Laudani | regia di Marco Laudani e Sergio Campisi | coreografia di Marco Laudani | produzione ocram dance movement con il sostegno di Scenica Festival e la collaborazione di Scenario Pubblico Centro di Rilevante Interesse Nazionale | interprete: Ismaele Buonvenga | assistente alla coreografia: Rachele Pascale | musiche di Domenico Modugno, Frank Sinatra, Davidson Jaconello, Stefan Levin, Ludwing van Beethoven | costumi di Claudio Scalia, realizzazione a cura di Gabriella Palomba | testi di James Joice, Debora Benincasa a cura, con adattamenti, di Sergio Campisi e Ismaele Buonvenga.