Il messinese Mirko Maccarrone e la fidanzata sono rimasti su una piattaforma per ore, in attesa dei soccorsi. Poi il ritorno a Dubai... e l'altro disastro
DUBAI – Quasi un anno fa vi abbiamo raccontato “una storia da romanzo“, quella di Mirko Maccarrone, messinese ormai trapiantato a Dubai. Adesso, a una settimana di distanza dai fatti, quella che vi racconteremo è una “storia da film”. Una pellicola alla Cast Away con Tom Hanks ma con protagonista sempre Mirko Maccarrone, stavolta insieme alla sua fidanzata, Dalila Tripi, originaria di Siracusa. La coppia, infatti, di ritorno da una vacanza alle Maldive, è rimasta in balìa dell’Oceano indiano per diverse ore, a causa di una tempesta in avvicinamento e di un capitano di idrovolante quantomeno frastornato dagli eventi.
Il racconto di Mirko
A Mirko il racconto di cos’è accaduto: “Abbiamo avuto l’opportunità di fare una settimana alle Maldive, in un posto paradisiaco: una villa privata con piscina e accesso al mare, dove abbiamo visto meraviglie naturali incredibili, dalle tartarughe alle mante e gli squaletti. Molto bello. Ma a un certo punto è arrivato il momento del ritorno. Per arrivare su questo atollo abbiamo dovuto prendere un idrovolante, per un viaggio della durata di 45 minuti. All’andata non è successo nulla, è andato tutto bene. Al ritorno vedevamo che la giornata era un po’ grigia, ma non aveva ancora iniziato a piovere. Abbiamo preso l’idrovolante e ci sarebbero voluti 45 per arrivare a Malè, la capitale delle Maldive, sorvolando centinaia di isolotti. Sull’idrovolante eravamo in 12 con 2 bambini”.
L’atterraggio di emergenza
Poi, però, è successo qualcosa: “Dopo 20 minuti di viaggio si è fermato per un atterraggio di emergenza. Io e la mia ragazza eravamo proprio seduti dietro il pilota e lo abbiamo visto nel panico. Atterriamo su una piattaforma in mezzo all’Oceano Indiano. Ci guardavamo intorno e non c’era assolutamente nulla. Abbiamo chiesto al capitano spiegazioni e lui ci ha risposto che ha dovuto fare un atterraggio d’emergenza a causa di una tempesta in direzione aeroporto. Ci ha soltanto detto, in un inglese per nulla fantastico, che saremmo rimasti lì, senza rassicurarci né dandoci informazioni su quanto avremmo dovuto aspettare. Sono passate ore. Dopo un’ora eravamo ancora lì su questa piattaforma, in attesa dei soccorsi per arrivare all’isola più vicina”.
All’improvviso “gli squali”
Ma non è finita: “Non arrivava nessuno. E dopo un po’, guardando in mare, abbiamo visto che un gruppo di squali girava intorno alla piattaforma. Diciamo che non ha aiutato vedere gli squali invece dei soccorsi. Siamo rimasti così per circa un’ora e mezza, forse qualcosa in più. Poi è arrivata una barca, ma il capitano non c’ha fatto salire perché attendeva informazioni e risposte: potevamo o non potevamo riprendere il viaggio verso l’aeroporto? Mentre lui aspettava questa risposta, è arrivata la tempesta e restare sulla piattaforma è diventato complicato, a maggior ragione con gli squali a pochi metri. Allora abbiamo chiesto al capitano di poter salire su questa barca per farci portare all’isola più vicina. Solo che eravamo in 12 e 4 di noi volevano prendere il volo a tutti i costi. Il capitano ci ha spiegato che avremmo potuto riprendere l’idrovolante, ma che dopo dieci minuti a causa della tempesta il rischio era di doversi fermare nuovamente in un’altra piattaforma. La situazione era molto delicata”.
Il gruppo si spacca
“Queste persone continuavano a dire che stavano perdendo il volo e insistevano – ha continuato Mirko – e anche noi lo stavamo perdendo, ma abbiamo scelto la vita. Siamo sempre lì a inseguire, a correre, ma in situazioni del genere ti rendi conto di cosa sia davvero importante. L’importante è continuare a svegliarsi la mattina, vivere e poter apprezzare ciò che abbiamo. C’è stato un grande contrasto all’interno del gruppo tra chi voleva ripartire e chi, con noi, voleva soltanto arrivare sull’isola. Il capitano dell’idrovolante si è preso il rischio di ripartire e lo hanno seguito soltanto in 4. Noi e gli altri abbiamo preso la barca. Non volevamo prenderci un rischio così grande, che poteva essere l’ultimo della nostra vita. Così siamo partiti in barca e siamo arrivati su quest’isola. Lì è arrivato un motoscafo per arrivare alla capitale, ma c’avremmo messo un’ora e mezza. Alla fine siamo arrivati alle 19.30 ora locale, invece che alle 16. Eravamo frastornati da tutta l’esperienza, ma eravamo vivi”.
Il momento più difficile…
Il momento più difficile? Mirko non ha dubbi: “Il non sapere cosa stava succedendo. In quei momenti non sai come andrà, stai mettendo la tua vita in mano a una persona che non sapeva prendere decisioni. Abbiamo chiesto noi al capitano di chiamare i soccorsi e una barca per arrivare all’isola più vicina. Abbiamo pensato di non rivedere i nostri cari, di non riuscire a tornare. L’altro momento più difficile è stato quando ci siamo divisi. Una parte ha scelto la barca per essere sicuri di vivere, gli altri hanno scelto di rischiare e c’è stata una discussione molto accesa. 12 persone tutti di nazionalità diversa: 2 italiani, un tedesco, una ragazza sudamericana, una famiglia polacca, alcuni del Montenegro. Non è stato affatto semplice”.
… e quello più bello
E il momento più bello? “Quando abbiamo toccato terra. Arrivati all’aeroporto non c’era più nessun volo. Abbiamo preso una camera d’albergo insieme a un’altra coppia. Siamo stati completamente ignorati sia dalla compagnia aerea sia dalla compagnia dell’idrovolante. Alla fine l’indomani siamo riusciti a ripartire e dopo 36 ore di viaggio siamo arrivati a Dubai. Siamo stati grati di come sono andate le cose. Sì, abbiamo perso il volo, abbiamo vissuto un grande stress, un lunghissimo viaggio, ma eravamo vivi. Abbiamo capito che una scelta sbagliata può portare a conseguenze a cui è impossibile rimediare. L’idrovolante alla fine è arrivato, seppur in ritardo, in aeroporto. Ma a noi non interessava più: siamo felici di essere vivi e scampati a una catastrofe”.
Anche a Dubai arriva la tempesta
Ma non è finita, perché tornati dalle Maldive e dal caso della piattaforma-zattera, Mirko e Dalila sono tornati a Dubai proprio pochi giorni prima dell’alluvione che ha colpito la città: “Felici di essere scampati alla tragedia, siamo rientrati a casa. Ma il lunedì ci siamo svegliati in una città caldissima, con quasi 37 gradi e un’afa pazzesca. L’aria era molto pesante e il cielo era di un giallo particolare, pre-tempesta. Solitamente quando arriva un temporale forte il governo solitamente chiude le scuole e non fa uscire nessuno, permettendo a tutti di lavorare da casa. Questo perché tutto di solito si allaga e il traffico di Dubai, già fitto quando non piove, va in tilt e rischi di fare 20 chilometri in 3 ore con l’acqua fino al finestrino dell’auto. In questo caso non è arrivata nessuna comunicazione di allerta, quindi non ci aspettavamo quanto sia successo. Quello che è accaduto è la tempesta più forte degli ultimi 75 anni. Ha fatto la quantità d’acqua in un giorno che solitamente cade in un anno. Per fortuna noi eravamo a casa, ma colleghi di lavoro sono rimasti bloccati. L’auto di una collega è stata sommersa dall’acqua ed è riuscita a scappare appena in tempo”.
Poi Mirko ha concluso con un messaggio: “Tre scariche di temporali, l’ultima alle 19 con danni incredibili. Sembravano scenari apocalittici. A casa nostra, nonostante l’appartamento nuovissimo, la pioggia è entrata fino alla camera da letto. Non si sa quanto questa pioggia sia dovuta al cloud-seeding, cioè l’inseminazione delle nuvole utilizzata dal governo per far fronte al fatto che solitamente non piove. Rilasciano una soluzione nelle nuvole con degli aerei per far piovere. Secondo alcuni siti internazionali potrebbe aver influito, mentre altri dicono che la pioggia sarebbe arrivata comunque. Resta il fatto che con madre natura non puoi scherzare. Ci sono stati morti, danni, una città completamente bloccata, nel caos totale. Una cosa molto complicata, soprattutto per chi non poteva lavorare da casa”.