Una città di impiegati e pensionati, con risorse al lumicino e imprese piegate dalla crisi
Di seguito la relazione del prof. Michele Limosani
Secondo il recente rapporto “Messina in cifre 2019” elaborato dall’ufficio Statistico del Comune, il numero di dichiarazioni fiscali presentate nel 2018 è pari a 133.343. I soggetti che dichiarano redditi da lavoro dipendente sono 66.373 e da pensione 50.787. Poiché un soggetto che riceve un reddito da pensione generalmente non gode nello stesso tempo di una retribuzione da lavoro dipendente è possibile, sia pure in prima approssimazione, sommare il numero dei percettori delle due tipologie di reddito che risulterà essere uguale a 117.160, il 90% circa del totale.
Città di impiegati e pensionati
Senza timori di smentita, dunque, è possibile affermare che Messina è una città di impiegati e di pensionati e l’INPS l’ente pubblico più “caro” ai messinesi. I soggetti, poi, che ricevono redditi da immobili sono pari a 58.767 a conferma del fatto che l’acquisto della casa e delle botteghe è stata la scelta di investimento preferita dalla gran parte delle famiglie.
Le partite Iva e le imprese
Il numero di coloro che dichiarano redditi da lavoro autonomo, le partite IVA e i professionisti -avvocati, ingegneri, commercialisti, geometri, architetti, agenti di commercio- si attesta sulle 3.000 unità mentre il dato sulle imprese è un pò più articolato. Secondo le statistiche dal rapporto, infatti, le aziende registrate nel comune di Messina nel 2018 sono 20.170 (33% commercio, 12% edilizia, 5% ristorazione, etc..).
La crisi
Da una lettura attenta dei dati statistici, tuttavia, sembra emergere che circa 5.000 ditte individuali, il 25% del totale, registrano perdite di esercizio nell’anno corrente e quindi presentano un imponibile pari a zero. 3.700 (19%) sono invecei soggetti che dichiarano redditi da impresa, di cui 307 provenienti da aziende soggette alla contabilità ordinaria (ossia imprese che fatturano più di 400.000 euro l’anno nel settore dei servizi o di 700.000 negli altri settori) e 3.400 da imprese che operano in regime di contabilità semplificata (prevalentemente artigiani).
Seguono, infine, i soggetti che dichiarano redditi da partecipazione pari a 2.873 (14%). Nell’ipotesi in cui tutti i redditi da partecipazione rappresentassero utili distribuiti ai soci di società di persone e/o di capitali, le imprese inattive sarebbero circa 8.500 (42%).
Ora, la crisi della città appare chiara alla luce di questi pochi numeri. Le retribuzioni nel pubblico impiego sono bloccate ormai da molto tempo; i salari dei dipendenti nel settore privato sono rimasti fermi al palo e sono anche mediamente più bassi delle rimunerazioni nel settore pubblico. Non parliamo poi delle pensioni. I redditi da fabbricati sono diminuiti sia perché è precipitato il valore degli immobili sia per le crescenti difficoltà delle famiglie a fare fronte agli affitti, soprattutto quelli commerciali. La riduzione dei trasferimenti dal governo nazionale agli enti locali ha ridotto significativamente il fatturato dei professionisti e le imprese, quelle rimaste attive e con i numeri dei bilanci positivi, subiscono l’influenza negativa della stagnazione economica; sopravvivono ma non riescono ad imprimere nessuna svolta all’economia della città.
Una città che arranca
Una città che arranca, dunque, con un numero limitato di famiglie che si contendono le poche risorse che il debole sistema economico è ancora in grado di generare mentre la stragrande maggioranza della popolazione supera di poco la soglia di povertà (il 70% dei soggetti che presenta dichiarazioni fiscali ha retribuzioni comprese tra 800 e 1600 euro mensili). Un’economia in cui il sommerso, con buona probabilità, ha ormai raggiunto dimensioni di gran lunga superiori a quelle rappresentate delle stime ufficiali, anche per consentire a tante piccole imprese di sopravvivere e a molte famiglie di continuare a mantenere un apparente stile di vita difficilmente giustificabile alla luce delle rilevazioni statistiche.
Michele Limosani