Messina- La riflessione del professor Limosani dopo le Europee
L’attuale distribuzione della ricchezza nel mondo, misurata attraverso il valore della produzione mondiale dei beni, assegna agli Stati Uniti una quota pari a circa il 25% del PIL mondiale, all’Asia il 28% (Cina 16%, Giappone 6,1%, India 4%, Russia 2%) e all’Europa il 20% (Germania 5%, Francia 3,5 %, UK 3,3%, Italia 2,4%). Gli Stati Uniti, l’Asia e l’Europa, considerati come continenti, contribuiscono con quote assai vicine a circa l’80% della produzione mondiale.
Tutto ciò, comunque, è destinato a cambiare. Secondo le previsioni formulate da autorevoli istituzioni finanziarie, i dati sulla produzione mondiale nel 2050 assegnano al continente asiatico una quota di poco superiore al 50% della produzione mondiale; la Cina e l’India si dividono paritariamente l’intera quota e si candidano a diventare il motore dello sviluppo economico mondiale. Gli Stati Uniti (27%) ed il continente Europeo (19%) rimangono fermi ai valori di partenza. La Russia, fermamente ancorata al suo 2%, riesce a preservare un ruolo di grande player mondiale grazie alla abbondanza di risorse naturali (gas), un imponente arsenale militare e alle migliaia di testate nucleari.
Ora, in questo scenario è logico pensare che l’Europa potrà contare nello scacchiere geopolitico mondiale e giocare una partita importante nella competizione globale solo se continuerà a rimanere unita. Gli Stati europei, presi singolarmente, non hanno alcun peso o possibilità di competere con i giganti mondiali. E senza l’Europa, inoltre, la possibilità di influenzare le decisioni su questioni che travalicano i confini nazionali, ma che incidono sulla vita dei singoli cittadini (inquinamento globale, regolamentazione del mercati finanziari, fenomeni migratori, ordine e sicurezza mondiale), è significativamente ridotta.
Certo, le recenti dichiarazioni del Presidente Trump -nella sua breve visita londinese- non vanno proprio in questa direzione. L’Europa è un progetto che il Presidente americano vorrebbe vedere dissolversi perché convinto che Washington sarebbe molto più forte e otterrebbe vantaggi più significativi se potesse trattare le questioni economiche e strategiche su base bilaterale con i singoli Paesi membri. Altri paesi dovrebbero seguire, a dire del presidente Trump, l’esempio della Brexit.
Oggi l’Europa si trova, dunque, di fronte ad una scelta. Per contare nel mondo e giocare la futura sfida economica e tecnologica globale bisogna riscoprire le ragioni dello stare insieme e cooperare per costruire una visione condivisa degli interessi europei. Nello stesso tempo, però, l’Europa ha bisogno di essere riformata; la sola Unione Monetaria non basta e la semplice difesa dello status quo non è più sostenibile; senza riforme il progetto “euro” è destinato a perire.
E’ divenuto ormai irrinunciabile riscrivere le regole dell’economia per non condannare il continente europeo alla stagnazione economica; sostenere effettivamente i processi di convergenza senza lasciare prefigurare la collocazione dei paesi europei in gironi di serie A e di serie B; ripensare le politiche di welfare per giungere ad un benessere maggiormente condiviso; favorire il processo di integrazione politica per una democrazia più forte; migliorare le politiche della solidarietà per una maggiore coesione sociale.
Il tempo delle scelte è giunto, la campagna elettorale è finita. L’Europa rimane, per la stragrande maggioranza dei cittadini italiani e soprattutto per le nuove generazione, un grande ideale; non lasciare dissolvere questo sogno e lavorare per cogliere la sfida del cambiamento è compito del nuovo Consiglio Europeo. Il fallimento di questo progetto condannerebbe il nostro continente, ed il nostro paese in particolare, alla irrilevanza politica, economica e culturale nel mondo.
Michele Limosani