In scena al Teatro Vittorio Emanuele di Messina. Ecco cosa ha convinto e cosa invece è apparso meno efficace
MESSINA – Mercoledì 11 dicembre, con replica il 12, al Teatro Vittorio Emanuele, è andato in scena “Lo Schiaccianoci”, il famosissimo balletto di P.I. Cajkovskij, balletto tipicamente natalizio, appartenente a quella magica triade, che comprende anche “Il lago dei cigni” e “La bella Addormentata”.
Tratto da un racconto di Alexandre Dumas padre “Storia di un schiaccianoci”, a sua volta tratto da un racconto della raccolta di fiabe “Kindern Marchen” di E.T.A. Hoffmann, “Schiaccianoci e il re dei topi”, ed eseguito la prima volta al teatro Marijnskij dell’odierna San Pietroburgo nel 1892, con la coreografia iniziata da Petipa ma portata a termine da LevIvanov, il balletto racconta infatti, in due atti, una favola natalizia. I tre grandi balletti di Cajkovskij rappresentano dei capisaldi della storia del balletto, e nello stesso tempo costituiscono una rivoluzione in questa forma d’arte, in quanto la musica non si limita ad essere mero accompagnamento dei passi di danza ideati dal coreografo, ma assurge a principale protagonista, raggiungendo una intensità di espressione ed una raffinatezza nell’orchestrazione mai udite prima nei balletti romantici francesi, gettando le basi per i futuri balletti moderni, in particolare di Stravinskij e Prokofiev. Dai tre balletti sono state tratte delle suites per orchestra, ancora oggi molto eseguite, ma solo quella dallo Schiaccianoci fu realizzata da Cajkovskij stesso.
Lo Schiaccianoci è uno dei balletti più celebri ed eseguiti di tutti i tempi, e costituisce una “Summa” della poetica musicale di Cajkovskij. Infatti, vi troviamo fra le musiche più dolci e ispirate composte dal musicista russo, come la “scena della foresta dei pini”, la “scena del palazzo incantato della fata confetto”, il “valzer dei fiori”, il “valzer dei fiocchi di neve”, il “Pas de deux”, per citare solo alcuni esempi. Da una storia di pura fantasia il musicista trae spunto per esprimere i suoi sentimenti più profondi, in particolare la malinconica nostalgia per quel mondo perduto rappresentato dall’infanzia. Ma lo Schiaccianoci riveste anche una rilevante importanza storica, essendo forse il primo balletto dove viene utilizzata la celesta, uno strumento inventato in Francia proprio pochi anni prima della rappresentazione del balletto, utilizzato nella danza della fata Confetto.
La vicenda, in breve:
Clara, la figlia del sindaco Stahlbaum, alla Vigilia di Natale, durante i festeggiamenti con altri ragazzi attorno all’albero, riceve in dono da un amico del padre, Drosselmeyer, uno schiaccianoci. Verso la fine della festa Clara, molto stanca, si addormenta su una sedia ed inizia il suo sogno fantastico: un esercito di topi che cercano di rubare lo schiaccianoci, il giocattolo che diventa un essere vivente e comanda un esercito contro i topi, la sconfitta del re topo colpito dalla scarpetta lanciatagli da Clara, e la trasformazione dello schiaccianoci in un bellissimo principe, con la conclusione del primo atto.
Nel secondo atto Clara ed il principe–Schiaccianoci intraprendono un viaggio favoloso nel castello della fata Confetto, dove hanno luogo le varie famosissime danze (Spagnola, Araba, Cinese, Russa, degli Zufoli, – rese celebri anche dal film di Walt Disney “Fantasia” -fino al celeberrimo Valzer dei Fiori, vero capolavoro orchestrale. Finalmente dopo il commovente “Pas de deux”, musica sublime caratterizzata dall’accompagnamento in arpeggi delle arpe, il “Valzer Finale e Apoteosi” riportano Clara e lo Schiaccianoci nella casa paterna, fine del sogno.
Questa sarebbe la trama del balletto. Uso il condizionale perché la versione rappresentata al Teatro V.E., per la regia e la coreografia di Massimiliano Volpini (azioni coreografiche di Kevin Castillo) ha adottato una lettura in chiave moderna, che ha stravolto la trama originaria, ambientando l’azione del primo atto in una periferia metropolitana abitata da senzatetto, un’area separata dalla città da un grande muro, ove un uomo, che dovrebbe essere una sorta di Babbo Natale, regala al quartiere lo Schiaccianoci, che rappresenta l’eroe che trionfa sulla povertà per raggiungere la ricchezza. Questo almeno, insieme all’accento su una società contemporanea multiforme, il significato esplicitato dal regista in una Sua nota, ma si tratta di un racconto difficilmente rinvenibile dalla visione dello spettacolo.
I costumi, di Erika Carretta, sono stati consequenziali, modesti, quasi da barboni. I passi di danza, eseguiti dal Corpo di ballo del “Balletto di Roma”, e la partecipazione di “Urban K Company”, sono stati una commistione fra balletto classico moderno e street dance, che si alternano e si intrecciano anche nel corso dello stesso brano.
Più tradizionale il secondo atto, ma con una ambientazione troppo sobria e minimalista, che ha reso l’intera scena meno sfarzosa di quanto ci si aspetterebbe (si tratta pur sempre del castello incantato della Fata Confetto). Efficaci e originali alcuni passi delle celebri danze, in particolare quella Araba, molto meno convincente il famosissimo Valzer dei Fiori, che nella fattispecie con i fiori non ha proprio nulla a che vedere. Ancora meno convincente il bellissimo “Pas de deux”, sicuramente il momento del balletto in cui la musica raggiunge le vette più alte, racchiudendo in sé – con lo splendido e sognante accompagnamento delle arpe e con il soave tema reso ora lirico dagli archi ora drammatico con l’intervento degli ottoni – tutta la dolcissima e malinconica poetica del compositore russo. Infatti, in questa versione del Balletto il romantico passo a due si è trasformato in una danza corale, con l’intervento di tutti i danzatori del corpo di ballo.
Francamente, a mio modesto avviso, si può certamente leggere in chiave moderna un capolavoro classico – ma stiamo parlando de “Lo schiaccianoci”, il più classico dei balletti russi, che forse mal si presta ad alterazioni rispetto alla versione “classica” – ambientarne la scena in altri contesti, ma non stravolgerne la natura intrinseca, che, nella concezione originaria, è focalizzata sul mondo incantato dell’infanzia, mondo perduto quando si diventa adulti, messaggio universale, quanto mai attuale, da parte sia di E.T.A. Hoffmann, sia di Dumas, che di Cajkovskij.
Eccellente, comunque, la prova dei ballerini del corpo di ballo “Balletto di Roma”, in particolare della bravissima Marisol Castellanos (Clara); strepitosi e travolgenti i danzatori di street dance di “Urban K Company”, formidabili atleti oltre che artisti.
L’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele, diretta da Giuseppe Ratti, direttore attento, che ha operato la giusta scelta dei tempi, ha convinto abbastanza per la resa interpretativa, anche se ancora una volta si devono registrare diverse criticità, in particolare il non soddisfacente equilibrio fra fiati ed archi, questi ultimi a volte sopraffatti dai primi e non esenti anche da alcune sbavature.
Tuttavia, l’esecuzione di un balletto con l’orchestra dal vivo rappresenta sempre un’emozione non paragonabile con il solito balletto con la musica registrata, e sono stati pertanto più che meritati gli applausi del numeroso pubblico.