Ecco come un uso del territorio dissennato sta enfatizzando gli effetti di questi eventi meteorologici
Come ogni autunno, al passaggio della prima intensa ed estesa perturbazione autunnale, l’Italia scopre di essere un paese fragile e particolarmente vulnerabile. Dopo gli eventi franosi di queste ore giornali e TV tornano a parlare di “dissesto idrogeologico” e la causa è attribuita alle piogge molto abbondanti, talora anche “torrenziali”, come quelle cadute nel weekend sull’entroterra savonese, dove localmente si arriva a quantitativi impressionanti di oltre 400-500 mm. Purtroppo non è sempre così. Anzi, in molti casi, come avviene spesso nei nostri territori, è la totale assenza di opere di difesa idraulica ad “enfatizzare” gli effetti degli eventi meteorici. Vedi gli allagamenti nella zona sud di Reggio o quelli che si vedono puntuali, ad ogni comune temporale autunnale, nelle aree più urbanizzate di Messina, dove si è arrivati a cementificare persino i pendii collinari più instabili.
Le cause vanno individuate anche in un uso del territorio dissennato e soprattutto nella sottovalutazione della stabilità dei suoli e dei versanti laddove si interviene con la realizzazione di infrastrutture che incidono profondamente sul paesaggio e sull’assetto territoriale. Dalle prime immagini dei recenti fenomeni franosi e fenomeni alluvionali che hanno bloccato importanti arterie viarie e numerose località si è potuto notare come alcune opere di difesa sono risultate, alla luce dei fatti, sono assolutamente inadeguate, realizzate con tecnologie ormai superate ed a forte impatto ambientale.
I tradizionali muri di sostegno in cemento armato, le funi e le reti passive, le barriere paramassi rigide oggi possono essere sostituite, grazie all’innovazione tecnologica, con sistemi attivi e reti paramassi elastiche, debris flow (barriere per colate di detriti e fango), drenaggi profondi, microdrenaggi e la regimentazione superficiali delle acque, il tutto abbinato a tecniche di ingegneria naturalistica e con ridotto impatto ambientale.
Troppo spesso, nell’emergenza come nella quotidianità, gli interventi sul suolo sono realizzati sulla base di progetti vetusti e “fotocopia”, con indagini geologiche e geotecniche approssimative, che non tengono conto dell’opera nel suo complesso, durabilità delle opere e della manutenzione nel tempo degli interventi, e delle più recenti innovazioni tecnologiche e di tipologie d’intervento.
Si evidenzia, quindi, l’esigenza di una conoscenza accurata e diffusa del territorio, di una progettazione dettagliata e mirata degli interventi, e l’utilizzo di tecnologie innovative a basso impatto ambientale. Fondamentale, in questo senso, è il ruolo dei professionisti che sono chiamati a seguire, dallo studio alla realizzazione, al monitoraggio, alla verifica ed alla fase di esercizio, ogni aspetto delle opere.
Urgente è passare da una politica dell’emergenza ad un attento programma di prevenzione e di governo dei processi di degrado del territorio, badando alla relazione tra ambiente e presenza antropica, e potendo al tempo stesso avvalersi di tecnologie innovative ed efficaci per l’esecuzione delle opere e la manutenzione, ma capaci al contempo di mitigare l’impatto ambientale, implementando anche norme tecniche, codici per la progettazione e gli interventi, metodologie per la verifica, linee guida e tipologiche delle opere, revisione dei prezziari, formazione, percorsi progettuali ed esecutivi premianti e validati.
Oggi che la crisi economica impone scelte ed investimenti con l’attivazione di risorse rilevanti per la realizzazione di opere pubbliche, rapidamente cantierabili, non si può disconoscere che la difesa del suolo e le azioni di previsione e prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico, sono la prima, urgente e non rinviabile opera pubblica per l’Italia.