Annullati gli ergastoli per i delitti Iannello e Pelleriti, ad accusarlo erano stati i pentiti
REGGIO CALABRIA – Non ci sono “le prove” che sia il mandante degli omicidi di Domenico Pelleriti e Felice Iannello. E’ un ribaltone, il corte d’assise d’appello a Reggio Calabria, il verdetto per il boss di Barcellona Sam Di Salvo, chiamato in causa dai pentiti per i due delitti della metà degli anni ’90. Inizialmente Di Salvo era stato condannato in primo e secondo grado per entrambi i delitti, inseriti nel maxi processo antimafia Gotha 6.
In Corte di Cassazione, però, l’accusa legata a questi fatti di sangue non ha retto del tutto. Confermando quasi in toto le condanne emesse al maxi processo, la Suprema Corte ha rinviato gli atti ai giudici di secondo grado per un nuovo esame. Oggi la Corte, accogliendo le tesi dei difensori, gli avvocati Tino Celi e Tommaso Calderone, lo hanno scagionato del tutto, assolvendolo “per non aver commesso il fatto”.
A chiamare in causa Di Salvo anche per i due omicidi, come mandante, erano stati i collaboratori di giustizia, come detto. I rilievi della Cassazione riguardavano la collocazione temporale del racconto dei pentiti, che parlano dell’assenso di Di Salvo a delitto ma in una epoca piuttosto anteriore rispetto a quando i due sono stati poi uccisi. Il ruolo di mandante, insomma, in base alla giurisprudenza consolidata, non si può contestare autonomamente ma deve essere dimostrato pienamente, nel caso in cui viene ordinato un delitto ma poi la sua esecuzione resta “sospesa” ed eseguita molti anni dopo.