Giancarlo Sepe riadatta in maniera nuova e rivoluzionaria Il Gabbiano di Anton Čechov, facendo di Massimo Ranieri l’impeccabile protagonista assoluto. Il Gabbiano va in scena al Teatro Vittorio Emanuele venerdì 12 e sabato 13 aprile alle 21,00 e domenica 14 aprile alle 17,30.
Un conflittuale rapporto con la madre, messo in evidenza sin dall’apertura del sipario, una vasta raccolta di tutte le debolezze e le insicurezze dell’animo umano, le conseguenze dell’insoddisfazione personale, il rapporto finzione-realtà, tutto questo è al centro del moderno riadattamento de Il Gabbiano di Anton Čechov, nato dall’incontro della regia di Giancarlo Sepe e l’interpretazione di Massimo Ranieri.
La famosa opera di Čechov è in scena al teatro Vittorio Emanuele venerdì 12, sabato 13 aprile alle 21,00 e domenica 14 aprile alle 17,30, con un cast eccezionale, accanto a Massimo Ranieri, Martina Grilli, Francesco Jacopo Provenzano, Federica Stefanelli, Pino Tufillaro e Caterina Vertova.
È la storia accigliata e tormentata di Kostja (Francesco Jacopo Provenzano), scrittore e regista teatrale, e del suo complicato legame di amore-odio con la madre Irina Arkadina (Caterina Vertova), ex famosa attrice, ossessionata dal tentativo di trattenere il passare del tempo, troppo spesso incapace di manifestare amore materno, spinta molto più facilmente, invece, a denigrare e irridere le aspirazioni del figlio, forse vedendo in lui l’impedimento principale allo spiccare della sua carriera.
La figura di Massimo Ranieri è quella di una voce esterna, un narratore super partes, conosce il corso degli eventi, interviene, commenta e riflette. Comprendiamo, poi, essere anche lui Kostja, un ipotetico Kostja adulto, la sua proiezione, o probabilmente la rappresentazione di ciò che Kostja avrebbe voluto essere, delle parole di cui avrebbe avuto bisogno, del sostegno a lui necessario per dare un esito diverso alla sua vita. Il vecchio Kostja è l’unico a credere e incoraggiare il sé più giovane, sarà bellissimo un abbraccio tra i due, come ad immortale tutto ciò di cui, con semplicità e naturalezza, si avrebbe avuto il bisogno.
Il sipario si apre, in scena si trovano un lunghissimo pianoforte, delle sedie e una poltrona rossa dove si abbracciano amorosamente Ranieri e la Vertova. Lui commenta “era mia madre o forse no… è troppo giovane”. Già qui si racchiude il cuore dell’opera, la lotta contro il tempo di questa donna bellissima e affascinante e il suo ambiguo legame con il figlio.
Grande protagonista è la musica, sarebbe stato assurdo il contrario, d’altronde, avendo Ranieri come principale interprete. Le canzoni da lui intonate sono sempre francesi; infatti, Il Gabbiano fu, inizialmente, nel 1896 a Mosca, un enorme insuccesso, solo grazie al supporto, all’intervento e ai consigli del critico musicale francese Marcel divenne la nota e acclamata opera. Ranieri canta ‘Avec le temps’ di Leo Ferrè, per ripercorrere la vita di Kostja.
Il palco si riempie, poi, di fumo, introducendo l’ingresso di tutti gli altri personaggi, e sui pannelli in fondo sono proiettati i nomi di ciascuno di loro.
Il giovane Kostja sta cercando di mettere in scena il suo testo teatrale scritto per l’amata Nina (Federica Stefanelli), ma viene continuamente interrotto dai giudizi critici della madre.
L’espediente di una rappresentazione teatrale all’interno, a sua volta, della rappresentazione teatrale crea confusione in chi assiste, gli attori si rivolgono a un pubblico finzionale, non a quello presente in sala, diviene difficile distinguere tra la finzione di primo grado e la finzione all’interno della finizione, generando una volontaria e più grande confusione tra immaginazione e realtà. Cosa è vero e cosa no? Dove calano le maschere? Dove inizia la persona e finisce il personaggio? Questa tecnica metateatrale, il famoso teatro nel teatro, dà un valore aggiunto all’opera che vuole ispirarsi fortemente, anche tramite citazioni e atteggiamenti, all’Amleto di Shakespeare, in cui tale espediente è largamente utilizzato.
Ranieri continua a cantare e dietro di lui tutti si muovono scattosamente, confusamente, trascinandoci in un’atmosfera parigina e un po’ bohemien, canzoni tanto note quanto meno note, antiche o più moderne, “Je suis malade” di Serge Lama, “Hier encore” di Charles Aznavour, “Et maintenant” di Gilbert Bécaud e “La chanson des vieux amants” di Jacques Brel.
Irina, intanto, continua ad avere un atteggiamento ambiguo con il figlio, al suo distacco e alla sua freddezza alterna rari momenti d’affetto, e in tal modo agisce anche nei confronti di Nina, che invidia e non reputa all’altezza di fare l’attrice, ma con la quale poi si complimenta presentandole Boris Trigorin (Pino Tufillaro), il famoso ma mediocre scrittore col quale convive e per il quale prova una forma d’amore e dipendenza.
E, così, inizia un complicato intreccio amoroso.
Trigorin si infatua di Nina ed è ricambiato, la ragazza perde la testa per lui, o forse per quello che lui le offre, un futuro, il successo; tale legame ferisce e fa impazzire Kostja, il quale, oltre al disprezzo per la relazione di Trigorin con la madre, soffre, adesso, anche per la gelosia della sua Nina; Irina accentua il suo odio per la bella Nina, precisando più volte “ho il doppio dei tuoi anni ma sembro molto più giovane”; mentre ad amare veramente Kostja vi è l’infelice Maša (Martina Grilli), la quale veste solo di nero per “portare il lutto della sua vita”.
Ranieri commenta, sospirando, “giovinezza!”.
Diverse vicende si intervallano per mettere in luce, al di là degli specifici avvenimenti, i turbamenti dei personaggi che sono poi i turbamenti dell’animo umano, le debolezze, i dolori di tutti, “tutti gli uomini trascinano la loro vita, tutti sono infelici” afferma Nina. Kostja rappresenta l’incertezza tipica della giovinezza, il bisogno d’affermazione, la ricerca di amore, di apprezzamento, sostegno e conforto; Irina la lotta contro il tempo, il bisogno ossessivo di vanità al di sotto del quale si cela la fragilità, la paura e l’insicurezza; Nina l’indecisione e l’ossessione; Trigorin la falsità, la debolezza, l’essere smidollato; Maša lo struggimento amoroso.
Tutti i personaggi, recitando le parole del lavoro di Čechov, esprimono più volte l’esigenza, la speranza, di essere gabbiani e volare via sul lago. Ma è proprio quel gabbiano sul lago che Kostja ucciderà, così come, afferma, poi ucciderà se stesso.
Il gabbiano è allegoria della libertà, libertà artistica, di scelta, di vita, la sua morte è l’insoddisfazione di chi da tale libertà non è riuscito a trarre i risultati sperati, di chi dalla propria vita non è riuscito a trarre appagamento. È il sentimento vissuto da ciascun personaggo: Maša soffrirà sempre pene d’amore; Nina fuggirà con Trigorin, avrà un figlio da lui che morirà poco dopo, verrà abbandonata e resterà sempre un’attrice mediocre; Trigorin potrà nascondere agli altri ma non a se stesso la totale assenza di talento che si cela dietro il suo fortuito passato successo; Irina riuscirà a far tornare l’amato da lei, ma ne vivrà sempre in dipendenza affettiva, infelice e spaventata dal futuro e l’insoddisfazione di Kostja, nonostante il discreto successo ottenuto dai suoi testi, per l’amore mancato della madre, l’irrisione di lei verso il suo talento, la perdita dell’amata che non lo corrisponde, lo porterà addirittura a tentare il suicidio.
Non erano false, infatti, le sue parole dopo l’uccisione del gabbiano. Kostja prova ad uccidersi nel bosco dove vi era il suo palcoscenico. In seguito a questo atroce gesto la madre viene trafitta dal dolore, si pente, e fa promettere al figlio, abbracciandolo, di non farlo più, ma basta poco a trasformare il loro avvicinamento nell’ennesimo attacco: “Parassita”, “Taccagna”, si accusano a vicenda.
Dopo il ritorno di Trigorin da Irina, Kostja cerca più volte Nina, la segue nei suoi spettacoli scadenti, lei rifiuta di vederlo, finché, fuori di senno, si reca da lui, è “un gabbiano senza pace” dice, ma continua ad amare ciecamente il suo uomo. Questo è l’ennesimo colpo troppo duro per Kostja, che stavolta lo fa davvero; a soli vent’anni si leva la vita, lasciando la madre disperata.
“Ma cos’è l’amore senza il perdono?” Forse è questo l’elemento che manca a tutti, la capacità di perdonare e perdonarsi. Perdonare gli altri e se stessi per essere imperfetti, per essere semplicemente umani. E con queste parole Ranieri chiude lo spettacolo.
Un’interpretazione impeccabile di tutti gli attori, Massimo Ranieri conferma il suo incredibile talento canoro, urla addolorato tre volte ‘no’ e i suoi acuti sono così perfetti da apparire irreali, ma non risulta da meno quello recitativo, una performance intensa, coinvolgente, capace di instradare lo spettatore verso se stesso, metterlo a contatto con le più profonde angosce del suo animo, col suo essere “caos e sogni” come afferma Kostja e con “la capacità di saper soffrire che può dare coraggio nella vita e permettere di sopportare il dolore” come ritiene Nina.
Una riflessione sull’insoddisfazione umana e su quanto a volte, però, possa bastare poco, una parola, un gesto di incoraggiamento, un aiuto a credere in se stessi, il perdono, per permettere al gabbiano presente in ciascuno di noi di spiccare il volo.
di Anton Čechov
adattamento Giancarlo Sepe
con Massimo Ranieri
Caterina Vertova
Pino Tufillaro e Federica Stefanelli
e Martina Grilli, Francesco Jacopo Provenzano
scene e costumi Uberto Bertacca
disegno luci Maurizio Fabretti
musiche a cura di Davide Mastrogiovanni e Harmonia Team
produzione esecutiva Giampiero Mirra
regia Giancarlo Sepe
coproduzione Diana Or.i.s. srl e Rama 2000 srl