Il "siamo tutti mafiologi" cederà il posto a un approccio più adatto a comprendere la mafia: ecco alcuni pareri
La mafia al tempo dei social. La cattura di Matteo Messina Denaro non deve far dimenticare i cambiamenti avvenuti in questi trent’anni: dall’arresto di Riina a quello dell’ultimo padrino tradito dalla malattia. Ma sappiamo davvero che cosa è diventata quest’organizzazione criminale? O, dopo il “siamo diventati tutti virologi, allenatori di calcio, esperti di canzoni”, adesso tocca alla specializzazione all’Università di Facebook su mafia e dintorni?
Dal Viagra al selfie del padrino tutto si mescola nel nostro blog quotidiano
Sarebbe importante, invece, indagare davvero su questo fenomeno, non immune da luoghi comuni e affermazioni semplicistiche, come in queste ultime 48 ore sta avvenendo sui social. Il “siamo tutti mafiologi” cederà il posto ad analisi più serie? La necessità di comprendere la mafia, in una seconda fase, dovrà prevalere, mettendo in comunicazione competenze giuridiche, giornalistiche, sociologiche, politiche, sociali, culturali. Per ora è il momento dei dettagli da dare in pasto ai social: dal Viagra al selfie (il selfie del super latitante ancora mancava) e agli abiti di lusso. Verrà il momento dell’analisi ma non subito: per ora si moltiplicano i meme, le pagine satiriche, i complottismi e le opinioni. Tutto si mescola nel nostro blog quotidiano.
In primis, ha ragione lo scrittore e giornalista Roberto Alajmo quando afferma (fonte la Repubblica online) che lo Stato vincerà nel momento in cui essere antimafiosi sarà conveniente e il cittadino sentirà davvero vicino lo Stato, a partire dalle politiche sociali e il sostegno al lavoro. E tra le parole più sensate troviamo quelle di don Luigi Ciotti, presidente di Libera: “Ciò che un po’ preoccupa è rivedere le stesse scene e reazioni di trent’anni fa: il clima di generale esultanza, l’unanime plauso dei politici, le congratulazioni e le dichiarazioni che parlano di “grande giorno”, di “vittoria della legalità” e via dicendo. Non vorrei che si ripetessero pure gli errori commessi in seguito alla cattura di Riina, e di Provenzano. Le mafie non sono riducibili ai loro “capi”, non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno, essendosi sviluppate in organizzazioni reticolari in grado di sopperire alla singola mancanza attraverso la forza del sistema. Sviluppo di cui proprio Matteo Messina Denaro è stato promotore e protagonista, traghettando Cosa Nostra dal modello militare e “stragista” di Riina a quello attuale, imprenditoriale e tecnologico, capace di dominare attraverso la corruzione e il cyber crime riducendo al minimo l’uso delle armi”.
E ancora aggiunge don Ciotti: “La sua latitanza è stata accompagnata anche dalla latitanza della politica, indirettamente complice di quella di Messina Denaro: la mancata costruzione, in Italia come nel mondo, di un modello sociale e economico fondato sui diritti fondamentali – la casa, il lavoro, la scuola, l’assistenza sanitaria – modello antitetico a quello predatorio che produce ingiustizie, disuguaglianze e vuoti di democrazia, che sono per le mafie di tutto il mondo occasioni di profitto e di potere”.
Sottolinea a sua volta Sebastiano Gulisano, giornalista dei “Siciliani”: “Le cose più interessanti sul cosiddetto cambiamento della mafia, negli ultimi anni, le ho trovate in alcuni libri: “Il padrino dell’antimafia” di Attilio Bolzoni, sul sistema Montante, che è anche un ragionamento su com’è cambiata l’organizzazione criminale dopo le stragi; “La notte della civetta” di Piero Melati, in cui si recupera un filone andato disperso, quello dei soldi: dov’è finito il fiume di denaro ricavato dai grandi traffici di eroina degli anni Settanta e Ottanta? Infine, nel libro di Sebastiano Ardita, “Cosa Nostra S.P.A.”. si parla di una mafia lobbyzzata e c’è un passaggio illuminante a commento proprio di una sentenza messinese (processo Beta): “Quello che veniva considerato un tempo il concorso esterno […] è oggi la vera essenza della mafia“. Potremmo parlare di un ritorno all’antico, a quando l’aristocrazia terriera usava i mafiosi come manodopera. O al rapporto, negli anni Settanta e Ottanta fra i Cavalieri di Catania e Nitto Santapaola. E forse non è un caso che il processo Beta vedesse protagonisti proprio i Santapaola”.
“Manca l’analisi e la compresione storica”
Afferma a sua volta Antonio Mazzeo, attivista e studioso: “Purtroppo le analisi sulla borghesia mafiosa sono le stesse di trent’anni fa, con la differenza che sono state del tutto eliminate dal dibattito politico-sociale e culturale. Anzi, esprimere in un dibattito pubblico il principio della “borghesia mafiosa” è sufficiente per ricevere attacchi e critiche da tutte le parti. “Vuoi dire che la borghesia è mafiosa?”, mi è stato domandato più di una volta e anche da docenti universitari e sociologi. C’è un arretramento, non solo in quella che è la coscienza e la lotta anti-mafia (istituzioni comprese), ma anche della stessa comprensione e analisi sociologica sul fenomeno mafioso e sui suoi intrecci con i poteri dominanti. Mi auguro che l’arresto di Messina Denaro possa riaprire soprattutto nel mondo accademico, tra le forze politiche, sociali e sindacali democratiche, un processo di analisi e comprensione storica”.
Termina la mafia stragista
Mette in evidenza invece Palmira Mancuso, di Più Europa: “Con l’arresto di Matteo Messina Denaro si chiude il cerchio sulla mafia così come l’abbiamo conosciuta. La mafia stragista, quella dei macellai che non si sono fermati neppure dinnanzi ai bambini. Molti tra forze dell’ordine e magistratura hanno lavorato in silenzio, inghiottendo, nel corso di questa lunghissima latitanza, anche amari bocconi, fatti di depistaggi e rallentamenti. Lo Stato ha vinto sulla mafia? L’arresto di Matteo Messina Denaro ci consegnerà molte verità. Comprese, ci auguriamo, tutte le complicità che hanno permesso al boss di continuare a vivere in Sicilia, e di curarsi a Palermo in una clinica privata a 600 metri dalla Dia. Mi auguro che sia stata una candida infermiera, qualcuno fuori da ogni ingranaggio, un imprevedibile granello di sabbia della società civile a inchiodare tutti alle proprie responsabillità”.
30 anni di latitanza non si possono ricostruire se lui non parlerà ,e statene certi che non lo farà ….30 anni di latitanza che in tutta onestà ,sarebbe continuata ,se non ci fosse stata la “dritta” del pentito che indirizzava e restringeva il campo della sua ricerca ,indicando un suo problema di salute ….30 anni in cui si è fatto beffa dello Stato vivendo tranquillamente con documenti falsi ,….30 anni e ancora oggi non possiamo festeggiare perché la mafia non si è estinta…..possiamo solo dire FINALMENTE GIUSTIZIA è stata fatta con la sua cattura ….rimane l’amarezza che per 30 anni la mafia ha vinto sullo Stato!!!!!!