A meno di 100 giorni dai temutissimi esami di maturità, "Il giornale degli studenti" riceve le opinioni proprio dei ragazzi sull'ansia e soprattutto sulla valutazione del proprio futuro. Restare o andare via da Messina? Sergio Inferrera, studente dell'ultimo anno presso il Liceo Seguenza, esprime la sua opinione
Come ogni anno migliaia di studenti si ritrovano oramai a pochi giorni da una prova che nel bene e nel male ha segnato ogni generazione italiana, dal primo esame che i ragazzi devono fronteggiare: l’esame di maturità. Da poco è infatti scattato il conto alla rovescia con i ragazzi, non molti a Messina, che festeggiano i “100 giorni” dalla maturità. Una data fatidica, che porta i giovani a tentare riti propiziatori, qualche preghiera in più del solito, pur di sperare di ottenere il voto tanto sperato. Sull’utilità di questo voto potrebbero essere scritte pagine e pagine senza mai arrivare ad una conclusione condivisa dai più, resta innegabile che il rigetto nei confronti della scuola sia dovuto in gran parte al puro nozionismo che la caratterizza. Per questo, per altri ragazzi l’avvicinarsi della maturità rappresenta l’imminenza dei test d’ammissione all’università, l’imminenza della fatidica scelta di studi che condizionerà i tre anni (almeno!) a seguire di quasi ogni maturando.
Messina, si sa, è una città che non offre il miglior servizio universitario al momento in Italia, nonostante il suo passato glorioso. È giusto ricordare che all’università di Messina hanno insegnato personaggi illustri del calibro di Giovanni Pascoli, Salvatore Pugliatti (letterato messinese) e Gaetano Silvestri (giudice della Corte Costituzionale e presidente della stessa per circa un anno). La storia, però, da sola non basta a mantenere alta la caratura di un’intera università, e da questo deriva la fuga di molti studenti in altre città (Milano è tra le mete più gettonate).
Tanti altri, invece, decidono di restare per “cercare di cambiare l’università e migliorarla”, perché “non bisogna gettare la spugna e andarsene, bisogna ripartire da quanto c’è di buono in questa città”, o molto più sinceramente perché non è facile a questa età lasciare famiglia e amici per motivi di studio. Diventa difficile, però, una volta messa la testa fuori dal nostro nido, ritornare e respirare la stessa aria di prima. Se si visitano i posti e le università giuste, diventa difficile non rendersi conto di quanto quella di Messina, con tutti i suoi disservizi, sia arretrata. Mentre qui si urla, si “combatte”, per dare agli studenti i servizi che gli spetterebbero di diritto (n.b.: il mondo dei social è pieno di questi combattenti durante la campagna elettorale, poi silenzio tombale), altrove in Italia si è pieni di spazi autogestiti, di sale studio all’avanguardia, di biblioteche immense con quotidiani provenienti da tutto il mondo. Altrove vi è fermento culturale, basta camminare per le strade per sentirlo addosso, quasi fosse qualcosa di opprimente. Qui, la desolazione. Una città morta, culturalmente, anche perché i giovani vanno via. E la situazione diventa sempre più asfissiante nel momento in cui si comprende che la lotta per cambiare la situazione messinese consiste perlopiù nell’organizzazione di serate in discoteca. Molti partono con l’idea di tornare in futuro, ma è difficile tornare nell’apatia dopo aver assaporato il fermento.
È amareggiante sostenere che, di questo passo, l’università messinese finirà per essere il deposito degli “scontenti dai test” di vario genere, di eterna mediocrità e non di eccellenza. E l’università è lo specchio della città cui appartiene, e tutto ciò indica in quale direzione sta andando la nostra cara Messina.
Sergio Inferrera
Liceo Seguenza