Memento mori: architettura della Cripta del Duomo di Messina

Memento mori: architettura della Cripta del Duomo di Messina

Autore Esterno

Memento mori: architettura della Cripta del Duomo di Messina

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mercoledì 17 Giugno 2020 - 07:36

Presentata la candidatura della Cripta del Duomo come Luogo del cuore Fai 2020. Oggi ci soffermiamo sugli aspetti architettonici

La Cripta del Duomo è candidata all’edizione 2020 dei Luoghi del cuore Fai. E’ possibile votare per la Cripta fino al 15 dicembre (cliccate qui per votare) Di seguito l’articolo di Nino Principato.

L’origine della cripta è strettamente legata al culto martiriale, i cosiddetti “martyria”. Nascevano così le cripte sopra la tomba di un martire che potevano essere ipogeiche, seminterrate o subdiali. Nel IX secolo si diffuse in Italia la cripta composta da tre navate coperte da volte, la cosiddetta “cripta a sale” la cui altezza impose la sopraelevazione dello spazio adibito a coro della chiesa. E’ la tipologia della cripta della Cattedrale di Messina, unica struttura originale rimasta dell’antico impianto chiesastico di epoca normanna (1130-1154) quasi integralmente ricostruito dopo il sisma del 1908 e gli incendi causati dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Presenta in pianta notevoli affinità con quella del Duomo di Otranto e come nella cattedrale pugliese risalente al 1088, la cui cripta è divisa da molte colonne con capitelli di diversa foggia, l’intero ambiente, culminante nelle tre absidi orientate ad est (caratteristica delle chiese fino al sec. XV, perché ad est sorge il sole simbolo della resurrezione di Cristo), è caratterizzato da una fitta tessitura di tozze colonne sulle quali impostano i pennacchi delle volte a crociera di copertura.


pianta della cripta del Duomo com’era in origine (rilievi dell’arch. Giovanni Favaloro)

La sua posizione che permane quella canonica, sottostante il presbiterio, fu utilizzata non soltanto come luogo di sepoltura, ma chiesa a tutti gli effetti dove si celebravano messe, come testimonia Giuseppe Buonfiglio nella “Messina Città Nobilissima” del 1606. Il 25 gennaio 1638, infatti, alcuni componenti della Confraternita sotto il titolo di “Schiavi della Madonna della Lettera” fecero istanza al Vicario generale Mons. Giuseppe Stagno e al Capitolo Protometropolitano per poter utilizzare la cripta, e, il 2 giugno dello stesso anno, la pia congregazione si installò nel nuovo Oratorio denominato “S. Maria”.

Alla cripta si accedeva, in origine, dall’interno della stessa Cattedrale per mezzo di due scalette ad unica rampa adiacenti alle ultime colonne della navata centrale, in corrispondenza del transetto, analogo sistema di accesso si rileva nelle cripte delle cattedrali pugliesi di Otranto (1088) e Trani (1096) e in quella laziale di Anagni (1072-1104). Alla fine del ‘500, stando alla testimonianza del Buonfiglio, le due scalette vennero tamponate e l’accesso alla cripta ricavato all’esterno, in corrispondenza del braccio settentrionale del transetto, trasformando una finestra in porta ed aggiungendo una rampa di scala per colmare i dislivelli. Così, infatti, è rappresentato l’ingresso alla cripta in una famosa incisione di L. De Vegni del 1845. Durante la ricostruzione della Cattedrale a seguito dei danni del sisma del 28 dicembre 1908, si rinvenne il cosiddetto “scolatore dei cadaveri” annesso alla cripta che dimostra l’utilizzo di essa quale luogo di sepoltura, un locale, cioè, dove venivano posti ad essiccare i defunti attraverso un procedimento di mummificazione naturale. In tre sedili per complessivi otto posti, venivano sistemati i morti completamente denudati “[…] come esseri viventi che avessero dovuto soddisfare un bisogno corporale. Or man mano che all’interno del cadavere avveniva la decomposizione dei visceri e dei muscoli, queste materie putride, dal buco anale scolavano fuori, e per mezzo di un canale che tuttavia si conserva, e che correva per lungo sotto i sedili, andavano a finire nella fogna” (A. Cutrera, “Il Duomo di Messina”, 1924-25). Quando dei cadaveri non rimaneva altro che lo scheletro ricoperto dalla pelle incartapecorita, essi venivano puliti, vestiti dei loro abiti e deposti per sempre nei sarcofagi.

Nino Principato

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