Menecrate: di medicina e superbia

Menecrate: di medicina e superbia

Daniele Ferrara

Menecrate: di medicina e superbia

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giovedì 26 Marzo 2020 - 08:30

In un momento in cui si parla di malattie, medici, cure, raccontiamo la storia di un siciliano fuori dal comune

Parlando di malattie, di medici, e di superbia. Guardiamo alle antichità, facciamoci due risate e riflettiamo. Oggi raccontiamo d’un nostro compatriota, un aretuseo davvero fuori dal comune (straordinario, se vogliamo): Menecrate di Siracusa, o meglio Menecrate Zeus, come lui stesso si firmava.

Il grande medico siracusano

Di questo personaggio parlano gli egizî Ateneo di Naucrati in I dotti a banchetto e Clemente di Alessandria nell’Esortazione ai Greci, il greco Plutarco di Cheronea in Agesilao e Pompeo e l’italico Claudio Eliano in Storia varia. Menecrate era davvero un grande medico e aveva una mente brillante, giacché tutte le persone che si recavano da lui venivano quasi immancabilmente guarite. Infatti, suoi pazienti (abbiamo anche i nomi) furono importanti uomini politici del suo tempo. Tuttavia, grande quanto la sua genialità era la sua superbia, parrebbe.

“Contratti con i pazienti gravi”

A un certo punto della vita iniziò a stipulare contratti con i suoi pazienti più gravi: li avrebbe trattati senza pretendere nessun pagamento, ma, se fossero guariti, avrebbero dovuto sottoporsi alla sua schiavitù. E siccome era davvero abile, guariva costoro quasi sempre, e si procurò un gran numero di schiavi! Se non altro però, queste persone erano rispettate e riverite, giacché nel momento in cui entravano a fare parte della sua casa dava loro i nomi di dee e dei!

Menecrate credeva di essere Zeus

Sì, perché Menecrate era convinto d’essere Zeus, o almeno, così si faceva chiamare. La cosa era iniziata quando l’aveva chiamato così qualche paziente in pieno giubilo per la guarigione, ma evidentemente la cosa gli piacque e, peggio ancora, gli diede alla testa. Perciò, a modo suo, con gli schiavi – che non dovevano nemmeno essere poveracci, visto che finì suo schiavo anche il tiranno Nicagora – voleva crearsi un suo Olimpo personale. Sappiamo che aveva un Eracle, un Ermete (dio del commercio), un Elio (dio solare) e un Asclepio (dio della medicina).

Statue per Menecrate

Menecrate raggiunse una tale importanza e talmente fu osannata la sua persona che gli furono scolpite statue – le quali purtroppo non ci sono pervenute (o magari sì, tra quelle prive del nome, chissà) – e va tenuto conto che la statuaria fosse prerogativa di figure di culto, fino ad allora. Abbiamo qualche traccia di epistole che Menecrate scrisse. Prima di leggerle, un appunto: nell’antichità le lettere iniziavano o si chiudevano con una formula che prevedeva “[nome di chi scrive] a [quello di chi riceve]”, seguito dal saluto (“salve!”, “salute” o “stammi bene” letteralmente – come il chaire greco e l’aue latino). Giusto per capire alcuni giochi di parole.

Una volta Menecrate scrisse a re II Agesilao di Sparta (che anni prima forse aveva curato) cominciando così: “Menecrate Zeus a re Agesilao: salve”. Agesilao, che possibilmente era preoccupato per il suo atteggiamento, gli mandò una risposta che si apriva con un motteggio squisitamente laconico: “Re Agesilao a Menecrate: riprenditi!” (al posto del tradizionale “salve”), credendolo impazzito e non gradendo un comportamento che si avvicinava alla blasfemia.

Un’altra volta Menecrate scrisse a re Filippo II di Macedonia così: “Zeus Menecrate a Filippo: salute; tu sei il Re della Macedonia, ma io sono re di Medicina. Tu puoi distruggere persone in forze quando lo desideri, ma io posso salvare chi langue e le persone robuste che seguono le mie prescrizioni posso tenerle vive senza malesseri sinché verrà la vecchiaia. Perciò, mentre tu sei scortato dai somatofilaci (guardie del corpo), io sono scortato da tutta la posterità. Perché io, Zeus, dò loro la vita.” Filippo – che doveva essere abbastanza preoccupato! – per tutta risposta gli scrisse soltanto (anche lui): “Filippo a Menecrate: riprenditi! Ti consiglio di soggiornare ad Anticira”, in Tessaglia, ove cresceva l’elleboro usato per curare i malati di mente.

Ma Menecrate arrivò comunque alla corte macedone di Pella e vi dovette risiedere per diverso tempo, praticando la sua attività seguito dai suoi schiavi-dei. Una volta Filippo decise di fare uno scherzo al medico siracusano; invitò Menecrate a un sontuoso banchetto ove c’erano tutti gli altri illustri membri della corte e altri invitati. Il sovrano fece accogliere il medico e il suo divin seguito con incensamenti e libagioni (ossia le offerte di bevande, versate a terra o sugli altari), cosa che Menecrate gradì alquanto, vedendosi finalmente riverito come riteneva confacente; solo che, quando venne il momento di mangiare, mentre a tutti furono date le pietanze, a lui continuavano a svuotargli le coppe davanti e i servi di palazzo lo incensavano senza sosta, ma senza dargli cibo. Il messaggio tagliente era: “Tu sei un dio: quindi stasera non mangi”; quando Menecrate, probabilmente iniziando a sentire i morsi della fame, capì, si alzò dalla tavola e si ritirò disgustato dalla festa.

Grandi doti di medico

È indubbio che Menecrate fosse un uomo di grandi doti e pressoché insuperato in campo medico nella sua epoca (così si può desumere dalle fonti), ma questo non gl’impedì, a causa del suo comportamento stravagante, d’essere preso in giro e di figurare, anziché come medico talentuoso, come folle o ciarlatano; tanto che divenne bersaglio di più d’un commediografo d’allora. D’altra parte, pur ritenendosi un dio, certamente non morì di fame per la convinzione di non avere bisogno del cibo, poiché conosceva i suoi limiti e bene.

Le punte dei piedi, sulle quali si cerca d’alzarsi per dimostrare una maggiore altezza, non sono un appoggio stabile per il corpo, se non per poco tempo; (allo stesso modo) la superbia è un vizio che fa crollare miseramente a terra. Per oggi abbiamo voluto scherzare, ma in futuro, eventualmente, parleremo di Menecrate con molta più serietà.

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