Menomale che c’è Luigi. La poetica commovente e straniante di Donatella Venuti fra Pirandello e Beckett

Menomale che c’è Luigi. La poetica commovente e straniante di Donatella Venuti fra Pirandello e Beckett

Tosi Siragusa

Menomale che c’è Luigi. La poetica commovente e straniante di Donatella Venuti fra Pirandello e Beckett

giovedì 08 Luglio 2021 - 07:04

Nell’ambito della Rassegna multidisciplinare, “Restate al MUME”, di arti performative, cinematografiche e teatrali e momenti musicali, riferibili alle messinesi Filarmonica Laudamo e all’Accademia Filarmonica , si è aperto uno spazio di azione interessante e creativo, attraverso Associazioni culturali della nostra città, riunite, per l’occasione in A.T.S..

Il Teatro dei 3 Mestieri, così, finalmente ha ripreso ad esistere, con il consueto impegno e l’innegabile autentica passione, attraverso la “mise en espace” di rappresentazioni teatrali e lo ha fatto reiterando l’omaggio, già realizzato il 20 e il 21 luglio del decorso anno, nella propria Sede, alla immensa artista prematuramente purtroppo scomparsa, la nostra Donatella Venuti, nel primo anniversario dalla Sua dipartita.

Nella serata del 3 luglio u.s., si è tenuto, infatti, il primo dei cinque appuntamenti in cartellone, tutti di innegabile qualità e spessore, celebrando – per fortuna – la concittadina drammaturga, interprete e regista, alla quale le Istituzioni, confido, unitamente ad altre Associazioni e ai colleghi dello Spettacolo, vorranno dedicare, nel prosieguo, la meritata attenzione.

Trattasi di un testo inedito della Venuti, portato in scena dagli interpreti Claudia Zappia e Gianfranco Quero, con regia e ideazione di Roberto Zorn Bonaventura e musiche originali dal vivo di Arcadio Lombardo; le scene, i costumi e la grafica si sono attestati a Cinzia Muscolino.

L’ultima fatica di Donatella, quale script, è proprio questa drammaturgia, una sorta di testamento spirituale, magistralmente reso dai due attori, perfettamente in parte nei panni di due anziani coniugi, tal Alfredo e Concettina, che attendono il ritorno del proprio figlio, il Luigi dell’intitolazione.

Difficile non cogliere taluni evidenti riferimenti autobiografici, a mio parere, ove le vicende esistenziali della Venuti, negli ultimi tempi, fattesi purtroppo pesanti e drammatiche, emergono con limpida chiarezza.

Concettina, il delicato clown, è, a mio avviso, l’alter ego di Donatella e l’aspetto più delicatamente godibile nel disegno del personaggio è il suo profondo distacco dalle cose del mondo, il suo sentire “puzza di morte” e rifiutare per questo il ritorno a casa, il riuscire comunque a godere delle piccole gioie esistenziali, quelle immateriali, come l’odore che l’amato vento trasporta, che è profumo di cose e esseri amati.

Il finale, con la donna che si alza dalla sedia a rotelle, che in parte la immobilizzava, è proprio espressione di quel volersi liberare dai fardelli del corpo malato e riuscire a librarsi, finalmente.

La straniante e straniata Concettina a tratti – volutamente – dimentica scomodi particolari, volendo mantenere intatti i suoi punti fermi, uno dei quali è di certo il Luigi lontano, che per lei a momenti diviene presente nelle fattezze dell’amato marito, che sovente strapazza, ma al quale, si intuisce, la lega un immenso sentimento e dal quale è assolutamente riamata con brontolante tenerezza. Poco importa alla fine chi o cosa rappresenti davvero Luigi, dove sia, quali rapporti intrattenga con lui l’amico Totò, che per Concettina è “Un Angelo”, e che interviene nella trama teatrale per aver spedito ai genitori della piece una inquietante busta con un orologio e una foto del loro tanto evocato figlio.

La regia è di inappuntabile maestria, laddove, giustamente, non grava più di tanto nella direzione di due interpreti di splendida naturalezza, lasciando loro una libertà di espressione che non necessità di orpelli e conduzioni pressanti, ma di una guida lieve, quale quella appunto approntata dal collaudato artista Bonaventura.

Possiamo comunque solo ricostruire, con immaginazione neanche troppo fervida, quale sarebbe stata la resa del personaggio amabile e poetico della Madre, ove, come dovevasi, interpretata dalla stessa Venuti.

Il riferimento al premio Nobel Pirandello, oltre che con suggestione rintracciabile nel nome dell’intitolazione, è ravvisabile nella messa a punto del personaggio di Concettina, delineata con rimandi anche al protagonista de “L’uomo dal fiore in bocca”, che ama soffermarsi sulle routinarie azioni quotidiane altrui, e sviscerarle, per evadere dall’incombente morte che aleggia sulla sua esistenza, rifiutandosi di tornare a casa dalla moglie che lo vorrebbe con sé.

Tante le altre connessioni all’universo pirandelliano, che potrebbero altresì elencarsi, cosicchè il personaggio tanto agognato potrebbe, con qualche forzatura, forse, essere allegoria del Teatro, assumendo la denominazione di uno dei suoi più superbi interpreti.

Se poi la rappresentazione innegabilmente si colloca nel solco della visione beckettiana di “Aspettando Godot” e altre opere, emergono altresì con evidenza i codici della drammaturgia riferibile all’artista palermitano Franco Scaldati, con le sue stralunate macchiette – Totò e Vicè docet – intrise di poesia, riprese con maestria dai messinesi Spiro Scimone e Francesco Sframeli, da “Nunzio” a altrettante riuscite performances, sempre nel segno del perturbante straniamento.

È riconoscibile la mestizia del registro della “mise en scene”, che, pur fra mille battute, tutte in vernacolo siciliano, che strappano amare risate, non assurge mai a ilarità, mantenendo intatta, invece, la drammaticità di fondo, che permea di sé l’esistenza umana in frangenti fattisi oscuri e dolorosi, che mostrano chiaramente la caducità di ogni impulso vitale, destinato a schiantarsi contro l’ineluttabile coltre di sofferenza.

Le musiche aderiscono perfettamente al testo e alla sua realizzazione, e il compositore e esecutore Lombardo, che ha sempre affiancato in scena la madre Donatella, ha saputo rendere al meglio l’armonia (o la disarmonia, ove necessario) e completare con piccoli tocchi l’affresco, sottolineando, alla chitarra, i momenti più intensi e quelli di più apparente svagatezza.

Le scene, minimaliste, con una qualunque panchina e un lampione, e i costumi, prettamente invernali, entrambi attestati alla Muscolino, ben si coniugano e contribuiscono alla costruzione di un eccellente prodotto artistico, una performance malinconica e toccante, che restituisce intatto l’incanto della semplicità dei gesti quotidiani.

I numerosi spettatori hanno mostrato visibile apprezzamento, interagendo con entusiasmo, e a tratti con empatia, riconoscendosi nel racconto di due esistenze attraversate da accadimenti, ma più forse da sospensioni del tempo della vita, mentre si “espera” qualcosa, o qualcuno, pur nella consapevolezza che il risultato dell’attesa non sarà mai in sé appagante.

Un’altra splendida piece del Teatro dei 3 Mestieri, e Donatella, che ha raccontato per noi l’esistenza e i suoi sapori, nelle infinite declinazioni, era fra noi, con la Sua presenza, forte ma mai ingombrante, a indicare forse quale sia il percorso da seguire, con paziente e sistematica resilienza, nonostante la distopica pesantezza di questi odierni tempi, id est sostenere e fare sempre il Suo amato Teatro, al quale ha consacrato la Sua esistenza, regalando spettacoli di altissima qualità e formando intere generazioni di interpreti. Consentiamole di tornare più spesso nella Sua Casa!!

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