La mostra potrà essere visitata tutti i giorni, escluso il lunedì, dall’8 al 20 aprile nelle fasce orarie 10/12:30 – 16/18:40
MESSINA – Questa sera, venerdì 8 aprile ore 18:30, l’inaugurazione della mostra “Crete policrome e disegni” di Franco Palmieri nel nuovo spazio espositivo del Teatro Vittorio Emanuele. Le opere dell’artista saranno fruibili nell’ambito del progetto “L’Opera al Centro” curato da Giuseppe La Motta, ad accompagnarle i testi di Anna Maimone.
All’inaugurazione saranno presenti il presidente Orazio Miloro, Il Sovrintendente Gianfranco Scoglio e il consigliere di amministrazione Giuseppe Ministeri. Questa mostra è stata fortemente voluta dalla governance dell’Ente Teatro Vittorio Emanuele per omaggiare Franco Palmieri a vent’anni dalla sua scomparsa: Franco Palmieri fu tra i primi artisti ad esporre all’interno del progetto “L’Opera al Centro”, negli spazi del teatro appena restaurato nel 1987.
Citando una sua frase che apre il catalogo di questa mostra “non le cose, ma lo sbigottimento amoroso per le cose… l’omaggio a Palmieri ci è sembrato naturale – conferma La Motta -, perché come per lui la nostra ricerca è sempre non solo rivolta al bello ma soprattutto allo sbigottimento: L’arte ha il ruolo necessario di cambiare il nostro modo di vedere”.
Chi era Franco Palmieri
Franco Palmieri apparteneva a quella ristretta cerchia di privilegiati per i quali conoscere è disegnare. La mano sollecitata da un occhio vigile, attento alle strutture, agli spessori, ai particolari trasferisce sul foglio ciò che è stato fermato dalla vista.
Ma Franco Palmieri ha operato e disegnato nella seconda metà del XX secolo e il suo disegno deve fare i conti con l’esperienza e la logica della percezione che hanno definito il suo orizzonte conoscitivo. Il disegno è stato per lui momento di un’attività più vasta, l’immaginazione, cioè la facoltà del conoscere e pensare mediante le immagini. E se la percezione visiva elabora le informazioni provenienti dall’esterno e le traduce in informazioni più complesse, l’immagine che l’artista si impegna a fermare è per lo più immagine in movimento.
Per questo i corpi, che sono l’oggetto principale della sua ricerca, si scompongono e si moltiplicano. Sul foglio bianco si accavallano bocche, occhi, narici, fessure che rimandano al desiderio, l’accecamento della passione, allo sforzo di essere sinceri e autentici, almeno sulla tela, almeno nella propria arte.
La sua arte
Il suo rimane un mondo in bianco e nero. Suoi strumenti prediletti sono le matite più sottili ed i pennini. Quando avvertirà la necessità del colore farà uso delle crete, che sole gli consentono di conferire leggerezza alla durezza che scaturisce dalla cognizione e accettazione del vivere.
Alla domanda se prima di comporre un dipinto avesse già pensato cosa disegnare ribadiva la spontaneità del suo operare. L’immagine spontanea corrisponde alla forma della percezione nello spessore di segni e pigmenti che si depositano sulla carta: l’artista deve soltanto fermare una forma che rappresenta altre forme. Ciò che arriva sul foglio non è che una sorta di correlativo oggettivo della sua percezione.
Alla psicologia della conoscenza corrisponde una piena consapevolezza delle pulsioni. Da qui scaturisce la forza del segno, la capacità di trasmettere emozioni, coinvolgere, in qualche momento urlare, urtare, rompere gli schemi. I corpi diventano essi stessi paesaggio e lo sguardo va dentro le cose, per trasmettere lo sbigottimento amoroso per le cose.