Messina e le (troppe) auto. Lo spazio urbano al quale rinunciamo

Messina e le (troppe) auto. Lo spazio urbano al quale rinunciamo

Autore Esterno

Messina e le (troppe) auto. Lo spazio urbano al quale rinunciamo

giovedì 19 Settembre 2024 - 16:09

Serve il coraggio della politica per uscire dal disastro. L'opnione di Giuseppe Saija, esperto in Mobilità urbana

Di Giuseppe Saija, esperto in Mobilità urbana

Di Messina ricordo, sin da quando ero piccolo, l’inferno di auto. Ho ancora negli occhi l’immagine di una lenta processione di macchine all’inizio di Corso Cavour, davanti alla Villa Mazzini, dove abitavo, nonostante le misure di austerity adottate dal governo di allora in risposta alla crisi petrolifera. Era il 1973, avevo sì e no 5 anni. Mio papà guidava una Fiat 128 la cui targa finiva in 21. E quel giorno, eravamo lì, appiedati sul marciapiede di Villa Mazzini a guardare tutte le auto con numero pari, autorizzate dal meccanismo delle targhe alterne, procedere lente e strombazzanti verso il centro città.

L’inferno messinese di auto ha forse un po’ cambiato volto nel corso degli anni, ma è rimasto in gran parte quello che era, nonostante il pesante declino demografico. Nel 1973, la popolazione di Messina si aggirava intorno ai 250.000 abitanti. Dopo 51 anni, siamo scesi a circa 220.000, ma il dato di fondo non è cambiato. La città è sempre invasa da auto. Le ritroviamo ovunque, sui marciapiedi, davanti agli scivoli dei disabili, sulle fermate degli autobus, e ovviamente in doppia fila. Nemmeno i nuovi parcheggi di interscambio, per il momento gratuiti, placano la fame di spazio delle auto dei messinesi.

Il problema è che quello spazio non è infinito. E’ il nostro spazio urbano, uno spazio teoricamente di tutti, limitato ai circa 8 km di lunghezza del centro città, o ai circa 22 km del continuo da Torre Faro a Tremestieri. Uno spazio lungo, sulla direttrice nord-sud, visto che ad Est c’è il mare e a Ovest le colline. Ma le auto aggrediscono ogni spazio. Sembra una situazione liquida. Ovunque ci sia una crepa, quel flusso si insinua, prende possesso, occupa gli spazi, come fosse acqua in una parete. Un’umidità strana, fatta di lamiere, di ruote e di paraurti. Una negazione di spazio, di cui siamo vittime (e spesso anche artefici) tutti noi.

Siamo troppo dipendenti dall’auto e non solo a Messina

Non è cambiata nemmeno, da quel 1973, la convinzione diffusa che l’auto sia una parte fondamentale delle nostre vite, un’appendice corporea, senza la quale siamo tutti sminuiti. Anzi, quella convinzione ha percorso più di cinque decenni, regnando incontrastata tra le due o tre generazioni che vi si sono avvicendate. Qual era il tasso di motorizzazione del 1973? Basterebbe consultare i dati del Pra (Pubblico registro automobilistico) e fare un’operazione molto semplice. Dividere cioè la popolazione residente per il numero di autovetture censite sul territorio comunale. Oggi, quel dato è del 66,4%.

Sappiamo cioè che nel 2021 (diamo per buono che non ci siano state variazioni enormi negli ultimi tre anni), da dati inseriti nel Pums (Piano Uurbano della mobilità sostenibile), a Messina circolavano 146.169 automobili. Su una popolazione di circa 220.000 abitanti. Cosa significa questo? Significa che siamo in una situazione in cui quasi ogni soggetto adulto ha un’auto a disposizione. Togliendo cioè minori di età, o le persone molto anziane che hanno smesso di guidare, o quelle che non sono fisicamente in grado di farlo, il numero di chi ha scelto di non possedere un’auto è davvero esiguo.

E’ così solo a Messina, mi direte? No, la situazione è grosso modo simile nel resto d’Italia, soprattutto al centro sud. Un po’ peggiore a Catania, un po’ meno da altre parti. Ma per rendersi conto che tutto il Paese è messo male, basta fare questa riflessione. Le città con il più basso tasso di motorizzazione (dove cioè la domanda di mobilità viene soddisfatta in modo alternativo all’auto di proprietà, sono Milano e Genova, che si attestano intorno al 50%.

Bene, chi conosce Milano, sa che anche lì non si scherza, a sacrificio dello spazio urbano, con interi quartieri in cui è normale o accettabile, parcheggiare sui marciapiedi. Certo, sono marciapiedi mediamente più larghi dei nostri, ma sono o dovrebbero essere pur sempre dei marciapiedi. E fuori dall’Italia? A Parigi, dove hanno adottato politiche draconiane per ridurre il numero di auto private, sono scesi sotto il 30%. Quando a Messina, nel 2021, si contavano 146.000 macchine, a Copenhagen, capitale della Danimarca, con una popolazione superiore ai 600.000 abitanti, ne circolavano poco più di 138.000!

A Messina pieni di auto per andare veloci come… una bici

Ma senza la macchina come fai? Già, come fai senza questa promessa di velocità? La Tom Tom (l’azienda dei navigatori satellitari) aggiorna ogni anno l’indice della congestione su 387 città del mondo. E Messina, con i suoi 220.000 residenti, poco più di un villaggio rispetto a Londra o Nuova Delhi, si piazza al ventiquattresimo posto, lasciandosi alle spalle anche Atene e Napoli. Questi dati sono più comprensibili, quando si cerca di rispondere alla domanda: quanto tempo impiegherò per percorrere 10km, quindi ad esempio da Villa Mazzini all’Ospedale Papardo? La risposta è che Messina servono circa 24 minuti e mezzo, con vette intorno ai 29 minuti in alcune fasce orarie come quella 8-9 dei giorni infrasettimanali. Tradotto in velocità, questo significa circa 22kmh. Andiamo mediamente a 22kmh. A Reggio Calabria, tanto per rimanere su realtà più facilmente comparabili, 10km richiedono in media meno di 18 minuti.

Con una semplificazione un po’ estrema, possiamo dire che a Messina siamo pieni di auto, per andare (mediamente) alla velocità di una bici. Occupiamo con queste auto quasi tutto lo spazio disponibile in città. Con i colleghi di Fiab Messina Ciclabile, associazione di cui faccio parte, abbiamo calcolato che per parcheggiare le auto dei messinesi servirebbe una superficie equivalente a ben 237 campi di calcio. Cosa potremmo fare con 237 campi di calcio? O anche con una sola frazione di quello spazio? Come potremmo utilizzare, in una città che ha pochissimo verde, che è carente di spazi di aggregazione o di impianti sportivi, lo spazio di 24 campi di calcio? Devo correggere quel che scrivevo sopra. Non è una negazione di spazio urbano. E’ una rinuncia, la rinuncia che noi, come comunità urbana, abbiamo fatto a quello spazio, dando per scontato che in fondo sia normale, che è così che va il mondo, e che le città sono fatte così.

Questo disastro lo illustra bene una vignetta, dello svedese Karl Jigl, che ripropongo qui. Raffigura lo spazio urbano, sostituendo alla sede stradale, l’asfalto su cui circolano le auto, un abisso pericoloso e inaccessibile. Le persone sono costrette a muoversi ai margini, a tentare gli attraversamenti da un posto all’altro sulle minuscole strisce pedonali. E la vignetta, fatta da un disegnatore del nord Europa, non considera le specificità locali, come i nostri parcheggi sui marciapiedi, la doppia fila o il (non) rispetto dei passaggi pedonali.

Vignetta dello svedese Karl Jigl

Un disastro per la qualità della vita ma non tutto è perduto

Quel che più mi fa rabbia, di tutto questo, è che queste cose le sappiamo da una vita. Sappiamo bene quanto l’auto, nell’abuso che se ne fa in Italia, sia fondamentalmente incompatibile con l’ambiente urbano. Lewis Mumford, grande urbanista statunitense vissuto nel ventesimo secolo, scrisse nel 1963, che “il diritto ad accedere ad ogni edificio in città in auto privata, in un’epoca in tutti hanno un’auto privata, è il diritto di distruggere la città”. Che i tassi di motorizzazione italiani siano incompatibili con la vita in città, lo sappiamo da anni. Ma assistiamo apaticamente, a Messina come in altri posti, a questo incessante urbicidio a quattro ruote. E’ perfino un po’ grottesco che quella cosa l’abbia scritta, circa 60 anni fa, un americano, uno cioè abituato agli spazi, agli impianti urbanistici e alla centralità dell’auto che è stata ed è tuttora tipica della società americana. E se quel disastro lo vedeva arrivare lui, dagli Stati Uniti, a maggior ragione avremmo dovuto intuirlo noi in Europa, in città e spazi più ristretti, più densamente popolati, ancora più incompatibili con l’abuso dell’automobile.

E allora? E’ tutto perduto? No, per fortuna. In ritardo, lentissimamente, le città europee hanno iniziato a reclamare i loro spazi, gli spazi per le persone, al posto di quelli per le auto. In Olanda e in altri Paesi del nord possedere un’auto è sempre più sconveniente. Il tasso di motorizzazione è nettamente più basso del nostro, sebbene siano, quelli, Paesi a reddito medio nettamente più alto. In Olanda, circa il 27% di tutti gli spostamenti avvengono in bici. A Parigi, appunto, la politica di riduzione del numero di auto in città è stata portata avanti senza compromessi: recuperando spazi per le persone, per la mobilità attiva (a piedi o in bici), rafforzando il trasporto pubblico.

A Milano, che pure presenta ancora enormi ritardi rispetto ad altre realtà europee, sono state effettuate operazioni significative, come quella di Viale Argonne. Un vialone dal quale è stata tolta la sede stradale al centro per realizzarvi un parco pubblico con campi di basket, minibasket, calcetto e punti di aggregazione. Possibile che l’unica cosa che ci viene in mente sul Viale Giostra, a Messina, sia quella di aggiungere parcheggi?

Togliamo tutte le auto dunque? No, ovvio che non è possibile, realistico e nemmeno giusto per chi dell’auto ha bisogno per lavoro o per motivi di disabilità. Ma le cose sono due. O continuiamo a rinunciare al nostro spazio urbano, per vivere in una specie di grande parcheggio disordinato, inquinato e chiassoso. Oppure iniziamo a riconoscere il problema, e cioè che quel numero di auto è troppo alto per il nostro territorio, e proviamo a ripensare la città. Certo, i cambiamenti, come quelli di Parigi, o quello più modesto ma interessante, di Milano, non avvengono perché improvvisamente i cittadini si autogestiscono. “Ah, sai, Peppe. Ho pensato che ci sono troppe macchine, a Messina. La mia la vendo”. No, non funziona così.

La politica deve avere una visione e guidare l’azione

Funziona che la politica deve avere una visione e deve guidare l’azione, anche a costo di qualche decisione impopolare. Non possiamo andare avanti ad osservare il disastro, senza fare nulla, o facendo un millesimo di quello che sarebbe possibile e doveroso. Non ha senso realizzare i parcheggi e tollerare le doppie file, non ha senso incoraggiare i cittadini a farsi l’abbonamento al servizio pubblico (nettamente migliorato, sia dato merito all’Atm) e lasciare che il percorso degli autobus sia sistematicamente intralciato dalle auto in sosta irregolare. O ancora dire alla gente di andare in bici e non fare nulla per mettere le strade in sicurezza.

No a una mobilità sostenibile a “menza” botta

Serve la politica con la P maiuscola, capace di immaginare una Messina vivibile, fatta di spazi per le persone e non ridotta a megaparcheggio, o a bretella autostradale. Per chiudere in vernacolo, nella città delle mezze cose (la menza bira, la menza caffè con panna), di tutto abbiamo bisogno tranne che della mobilità sostenibile a menza botta.

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