Il pizzaiolo è una vera eccellenza culinaria cittadina. Ha vinto i Tre Spicchi - Gambero Rosso e ha portato L'Orso a primeggiare in Sicilia. Merito di studio e sacrifici
MESSINA – Prima l’esigenza di lavorare, poi la voglia di imparare. Anni di studio, impegno e sacrifici, hanno poi fatto il resto. Matteo La Spada, pizzaiolo che può vantare i Tre Spicchi – Gambero Rosso, conquistati al comando dei forni e delle cucine della pizzeria messinese L’Orso, è una vera eccellenza culinaria cittadina. Una Messina che esporta sempre più spesso i suoi prodotti, che vince premi e che merita di essere raccontata, come lui racconta quotidianamente i sapori del territorio e della Sicilia, tra tradizione e innovazione.
Matteo è un artigiano, un cantastorie dell’arte bianca. Lo certificano i premi e un successo a livello regionale e nazionale che cresce, di pari passo alla sua voglia di imparare. Dai Tre Spicchi al Best in Sicily, fino al 34esimo posto italiano nella 50 Top Pizza, guida redatta a livello globale. E Messina vive anche nella sua cucina, portata alla ribalta anche lontano dallo Stretto.
Matteo, come nasce questo lungo percorso verso l’eccellenza?
Tutto nasce tanti anni fa, quasi vent’anni fa. Non era una passione il mondo dell’arte bianca ma una fonte di necessità per cercare lavoro. Poi però è nato lo studio, la passione, non è diventato più un lavoro per me ma quasi un hobby. Ma soprattutto questo mi ha spinto verso l’innovazione. Tutto però camminava di pari passo con lo studio: ho frequentato vari corsi di formazione, che mi hanno dato un bagaglio culturale e professionale importante. Poi c’è stato l’incontro con Gianluca Arcovito e con Giuseppe Denaro (i proprietari dell’Orso, ndr): da lì è nata l’idea di provare a rompere gli schemi in città e portare sui piatti una pizza di eccellenza.
Abbiamo cercato di copiare inizialmente quello che si faceva da Napoli in su, poi siamo riusciti a realizzare un prodotto che oggi ci dà grandi risultati e soddisfazioni. Lo studio, la formazione, sono stati fondamentali, perché comunque prima ero frenato da vari “schemi”. Determinate cose pensavo non si potessero utilizzare, o pensiamo agli impasti: alcune cose sembrano intoccabili. La tradizione non va mai dimenticata ma va valorizzata perché i tempi cambiano, i mezzi cambiano, i prodotti anche e i sapori non vanno trasformati ma valorizzati. La tradizione è importante ma senza l’innovazione si rischia di rimanere bloccati.
Innovare, senza dimenticare la tradizione, passa anche dalle materie prime
La materia prima è la base. Già la materia prima di ottima qualità, soprattutto pensando ai prodotti della nostra Sicilia, che non hanno niente da invidiare agli altri, fa tanto. Ma l’importante è saperla raccontare. Faccio un esempio: pensiamo al pomodoro siccagno, unico nel suo genere. Se non viene esaltato, raccontato, nelle giuste pietanze, si rischia di fare un salto nel vuoto. Il cibo è un viaggio, se non si racconta si rischia di non far percepire determinati valori. La pizza è un simbolo di convivialità, molto popolare, ma se si perde questa concezione, cioè il raccontare cosa c’è dietro al lavoro dei contadini ad esempio, non viene realmente valorizzata. Non si capisce perché è un prodotto d’eccellenza neanche il pomodoro, per tornare all’esempio di prima.
Quali possono essere le difficoltà di questa ricerca dell’eccellenza nel tuo lavoro?
Non è così tanto difficile, lo è solo se non si ha la conoscenza. Parto da un fondamento: la cultura è alla base di tutto. Se si studia, si cerca la storia delle materie prime, allora non è difficile. La semplice pizza margherita, ormai un vero simbolo in tutto il mondo, può essere trasformata: non è solo un pomodoro, raccontiamo il pomodoro da dove viene, com’è realizzato, lo esaltiamo con il racconto e con gli accostamenti. E così la mozzarella, il fiordilatte, la mozzarella di bufala che può essere Dop o no. Oppure l’olio, che gioca un compito importantissimo. Ancora oggi manca la cultura sull’olio.
In Sicilia ne abbiamo alcuni di altissimo livello, riconosciuti in tutto il mondo, ma spesso apprezzati più fuori dalla Regione che qui, dove non sempre vengono riconosciuti come eccellenze del territorio. Ce ne sono alcuni che sì, hanno dei costi elevati, ma calibrati nel modo giusto e capendo il lavoro che c’è dai campi agli imprenditori, riescono a darti qualcosa in più. E gli impasti? Sono dei piccoli figli, bisogna farli crescere, starci dietro, capire i tempi di maturazione e di quando devono essere stesi. Sono orari flessibili, da studiare e conoscere a fondo. Questo fa capire come quello di chi lavora la pizza sia un lavoro da artigiani.
E dopo tanti anni di sacrifici, studio e lavoro, arrivano i premi: che è emozione è stata?
L’emozione per chi è appassionato, per chi ha dedicato tanto impegno e tanti anni di fatica, esperimenti, studio e fallimenti, è tantissima, è unica. Sono riconoscimenti che ti incoronano, soprattutto i tre spicchi del Gambero Rosso, che è l’apice per un pizzaiolo. Dopo quello è stato un susseguirsi: siamo al 34esimo posto in Italia secondo la guida 50 Top Pizza mondiale e siamo la prima pizzeria siciliana. Poi abbiamo vinto il Best in Sicily, come miglior pizza siciliana. Un susseguirsi di emozioni. Chi ha grande passione non può che essere emozionato. Sono dei simboli che ti danno carica e ti fanno capire che tutti i sacrifici sono ripagati.
Matteo, dopo tutti questi successi, qual è il tuo sogno?
Diciamo che il mio si è già avverato portando i Tre Spicchi in Sicilia. Se devo guardare al futuro penso a un’altra sfida: riuscire a conquistare le Tre Rotelle, per la prima volta in Sicilia, che è un premio per la pizza in teglia. Noi stiamo lavorando molto anche su questo prodotto e siamo convinti perché il pubblico risponde bene. Si tratta di un prodotto super leggero a confronto della classica focaccia, ci crediamo e lotteremo per conquistare anche le Tre Rotelle da affiancare ai Tre Spicchi. Vogliamo far primeggiare L’Orso non solo in Sicilia ma anche a livello nazionale.
Una riflessione su Messina: secondo te è vero che “non c’è niente” o eccellenze culinarie come te dimostrano il contrario?
Con un giornalista di una guida nazionale parlavamo proprio di questo. Purtroppo nel messinese c’è quell’indole di lamentarsi e non riesce a vedere cosa c’è di bello e di buono. Questo cronista mi chiedeva: perché nella città si respira sempre questa sofferenza? Dovrebbe essere un riscatto per tutti invece. A Messina non manca niente, non è che non c’è niente.
Manchiamo noi, perché la città è bellissima, con risorse infinite e ricca di eccellenze di cui vantarsi. Siamo noi a dover fare qualcosa in più, perché Messina lo merita e sono convinto che possiamo farcela. Sul campo gastronomico un risveglio c’è stato, non solo in pizzeria ma anche panificazione, pasticceria, arte culinaria. Bisogna dare uno schiaffo alla città, che deve risvegliarsi. Si può fare tanto e c’è ancora tanto da fare.
Non è vero che a Messina non c è nenti😖…..non c è valia i fari nenti 😤😡😖..e le parole e il lavoro di questo giovane sono la riprova che chi VUOLE OTTIENE…..👏👏👏👏👏👏👏a questo pizzaiolo BRAVISSIMO per il riconoscimento ,per come ha parlato,e un in bocca al 🐺 affinché conquisti pure le Tre Rotelle 🤞
Messina, città di piagnoni e apatici, svegliatevi e prendete esempio da Matteo. Tutti i traguardi si possono raggiungere, basta crederci ed impegnarsi!!!