Messina. Minniti: "Io, preside per una scuola dell'inclusione"

Messina. Minniti: “Io, preside per una scuola dell’inclusione”

Marco Olivieri

Messina. Minniti: “Io, preside per una scuola dell’inclusione”

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martedì 12 Aprile 2022 - 07:52

Intervista con la dirigente scolastica dell’Istituto Battisti Foscolo, premiata come "eccellenza"

MESSINA – La scuola in periferia, tra rischi e potenzialità educative. Marginalità delle periferie e sforzo quotidiano per promuovere modelli d’istruzione alternativi ai rischi della strada. Alessandra Minniti è dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo n. 12 Battisti Foscolo di Messina in via Alessandro Manzoni n. 66, nella zona medio-bassa del quartiere Giostra.

Con una definizione abusata si potrebbe parlare di scuola in zona a rischio e di missione educativa dell’istruzione. Tutto vero se sostenuto, come è il caso della dirigente, da un’attenzione alla realtà sociale e culturale in cui opera l’istituto, senza dimenticare le azioni di solidarietà anche nei confronti dei bambini ucraini.

Di recente, Assogiovani, organizzazione governativa che si occupa di bandi per la scuola con riferimento all’educazione civica, l’ha premiata come “eccellenza italiana” per il ruolo di dirigente. “La nostra è una scuola dell’inclusione, in cui non si lascia mai indietro nessuno, in cui non si chiudono le porte a nessuno”, ama precisare Minniti (nella foto con la prefetta di Messina Cosima Di Stani durante un’iniziativa per la legalità lo scorso 21 marzo).

Come è nato questo riconoscimento?

«È avvenuto in modo fortunoso. Sono stata contattata da un autorevole giornale e mi è stato chiesto se ero disponibile a un’intervista che portasse all’attenzione il lavoro dei dirigenti scolastici attraverso il profilo della propria scuola. Non avevo idea che questo comportasse qualifiche di eccellenza, né che portasse ad una esposizione mediatica, che per il ruolo che svolgo non è sempre un fenomeno positivo. È giusto infatti che vi siano delle aspettative nei nostri confronti, ma è anche necessario lavorare con serenità. In ogni caso, io considero eccellenti molti miei colleghi più esperti e che da anni operano in contesti e quartieri difficili, che sono per me un modello virtuoso».

Quali sono le caratteristiche della scuola che dirige e della sua collocazione territoriale?

«La mia scuola è un istituto comprensivo. Dunque raccoglie alunni dall’età dell’infanzia alla prima adolescenza: chi esce dalla mia scuola consegue il diploma di secondaria di primo grado. Si tratta di una scuola a indirizzo musicale con lo studio di quattro strumenti e diversi laboratori, con l’orchestra e il coro. Come tutti i comprensivi, è frutto dell’innesto delle direzioni didattiche di scuola primaria con le scuole medie e la mia ha avuto nel tempo l’innesto sia della Juvara, che della Foscolo. Questo genere di processi porta alla necessità di costruire identità comuni provenendo da un vissuto separato. Identità forti che poggino sullo specifico servizio che si dà all’utenza e sul carattere che si manifesta poi nelle scelte quotidiane».

Qual è l’dentità della scuola?

«Una scuola dell’inclusione, in cui non si lascia mai indietro nessuno, in cui non si chiudono le porte a nessuno. La scuola si trova nella parte medio-bassa del quartiere Giostra. Quanto alle sue caratteristiche, io non sono né un’urbanista, né un sociologo, e vedo quel che vedono tutti. Cioè che il quartiere è urbanisticamente degradato, che è privo di bellezza e di spazi verdi, molto trafficato ma senza luoghi di ritrovo come una piazza».

Quali sono i problemi maggiori?

«I problemi sociali più rilevanti, che non riguardano naturalmente tutte le famiglie, anzi, sono la povertà educativa, la mancanza di modelli e stimoli positivi, la mancanza di una visione prospettica per i propri figli che li veda fuori da ambienti chiusi e ambigui. Di certo, la presenza nel territorio di famiglie legate alla criminalità, in un contesto di bisogno economico e di mancanza di lavoro, può esercitare un potere attrattivo. La grande maggioranza delle famiglie è consapevole di questo pericolo e fa il possibile con molta dignità per dare ai propri figli futuro e lavoro. Ma noi come scuola diamo formazione ed educazione a tutti, tanto più a chi è più bisognoso di averle».

C’è anche un forte elemento multiculturale?

«Sì. Abbiamo alunni di prima immigrazione, spesso non parlanti italiano, provenienti da famiglie molto dignitose e rispettose del ruolo della scuola, in cui vedono uno strumento fondamentale per l’integrazione dei propri figli. Quanto alla presenza di bambini di origine rom, ormai sono pochissimi. A partire dall’epoca in cui sono passati dai campi alle soluzioni abitative, il problema non è più l’evasione scolastica, semmai l’assimilazione ai bisogni educativi ed economici dello strato più svantaggiato della popolazione. Noi siamo comunque coinvolti in un progetto del Comune di Messina che prevede dei laboratori di inclusione per quelle classi che accolgono tra i propri iscritti questi alunni. In quest’ottica di scuola inclusiva, abbiamo dato la disponibilità ai servizi sociali del Comune e al Garante per l’infanzia e l’adolescenza ad accogliere bambini provenienti dall’Ucraina».

Come agite sul piano didattico?

«Per un’utenza così eterogenea bisogna pensare a modelli di didattica fortemente individualizzata, per dare a tutti strumenti di crescita disegnati sulle possibilità di apprendimento di ognuno. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario un grande impegno da parte dei docenti. Io li stimo molto e rilevo che lavorano molto. In generale, ritengo che la scuola italiana si regga sul loro lavoro misconosciuto e malpagato».

Collaborate con altre realtà della zona?

«Come Istituto, siamo entrati in un protocollo di rete che  vede tra i promotori parrocchie, associazioni del terzo settore e associazioni di volontariato e istituzioni. Il tutto con l’obiettivo di promuovere il progresso di questo quartiere, che partendo dai bambini arrivi agli adulti. Penso a un processo virtuoso in cui i nostri giovani non siano solo oggetto delle attenzioni formative, ma comincino ad interessarsi del proprio quartiere, a valorizzarlo, a prendersene cura, a rivendicare quel che manca. Oltre all’impegno nel quartiere, presto entreremo in un importante progetto di collaborazione con altre istituzioni, tra cui l’Università».

Come è cambiata la scuola nel periodo dell’emergenza Covid?

«Il Covid è stato un ciclone che ha inciso fortemente nelle dinamiche della società. E la scuola, tra le istituzioni, è stata protagonista in quanto capace di resilienza alle innumerevoli sollecitazioni negative che si sono riversate sulla vita quotidiana delle classi in termini di tensione sociale, paura, fake news, ricerca di capri espiatori. La scuola è stata anche capace di reggere all’urto di novità normative e organizzative che avrebbero potuto travolgerla. Al contrario, dirigenti e docenti hanno risposto con grande senso di responsabilità. Ancora oggi organizzano l’azione didattica quotidiana senza fare mai mancare la continuità educativa necessaria per i piccoli e per i più grandi».

Ci sono state ripercussioni psicologiche?

«Sia il lungo periodo di Dad, didattica a distanza, sia le successive quarantene diffuse, se hanno salvaguardato la salute pubblica, sono state tuttavia un danno psicologico ed educativo per i bambini e i ragazzi. Soprattutto per i più piccoli, il contatto con le maestre e con i compagni è fondamentale da un punto di vista emotivo».

Il rapporto con le istituzioni può far nascere modelli di riferimento improntati alla legalità?

«Il rapporto con le istituzioni deve essere necessariamente di vicinanza, di cura, di dialogo e di riconoscimento di diritti. Le istituzioni devono diventare familiari per i giovani cittadini, i quali devono sin da piccoli avvertire il vantaggio che i percorsi di legalità rappresentano sul piano della libertà e della dignità. Devono avvicinarsi da subito a pratiche di cittadinanza basate sulla partecipazione. Per fare questo, è necessario un profondo e continuo lavoro di educazione civica».

Cosa le piace del suo lavoro?

«Mi piace progettare, vedere il futuro e risolvere tanti problemi. Mi piace vedere i risultati e lavorare con gli altri. Il dirigente autocrate chiuso nella sua stanza non serve a niente».

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