Messina. Questa domenica si inaugura la mostra fotografica di Dino Mondello

Messina. Questa domenica si inaugura la mostra fotografica di Dino Mondello

Autore Esterno

Messina. Questa domenica si inaugura la mostra fotografica di Dino Mondello

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domenica 04 Ottobre 2020 - 09:37

Appuntamento alle 18,30 al Panama Bistrot di Via Mario Aspa, nei pressi del Teatro Vittorio Emanuele

Le venti foto di Dino Mondello sono il racconto di un magnifico viaggio per le città europee, le solitudini, le bellezze, le quotidianità di inconsapevoli attori/esseri umani (in coppia, o da soli), in simbiosi con le linee essenziali di architetture cittadine, o di grigie periferie, di giardini rigogliosi e splendidi, di interni teatralizzati o di un mare intagliato nello sfondo. L’occhio del fotografo muove le fila delle azioni.

Seppur le foto narrino di silenzi e incomunicabilità, di sguardi deviati dalla traiettoria comune, di malcelate malinconie, di distanze indifferenti, sono anche frutto di eventi che sembrava non potessero più esistere: gironzolare liberamente in un aeroporto, o un fast food, o un museo, mischiarsi col mondo, viaggiare, affiancarsi…è rappresentato il tempo del prima quando la solitudine coincideva con una sorta di esclusione da qualcosa di vivo e gioioso che avveniva altrove. Prima che subissimo la costrizione dell’arte della distanza per sopravvivere.

Consegno dunque oggi a queste foto il peso della rinascita post-lockdown e ci provo: riparto dalle emozioni, dalla bellezza, dalla poesia. “Quando siamo troppo allegri, in realtà siamo infelici. Quando parliamo troppo, in realtà siamo a disagio. Quando urliamo, in realtà abbiamo paura. In realtà, la realtà non è quasi mai come appare”, scrive Virginia Woolf e conclude che”nei silenzi, negli equilibri, nelle ‘continenze’ si trovano la vera realtà e la vera forza”. Questa la suggestione a cui mi affido per tornare a scrivere delle magnifiche foto di Dino Mondello, in cui appunto la continenza e la profondità di senso tolgono il fiato.

Da Vienna a Parigi, ad Amsterdam, a Madrid, Milano, Verona, Rimini, alla Sicilia e al suo mare, il racconto fotografico parte da lontano e arriva lontano. Si snoda tra l’apparente aridità delle periferie, apre al mare, ai giardini, alle sovrapposizioni di immagini come sipari che chiudono e schiudono su più scene. In genere le due figure mimano lo spaesamento della coppia, gli sguardi verso direzioni opposte, o inchiodati al telefonino o intenti al mondo che non è l’altro. Spesso la presenza umana è unica.

Le figure si stagliano, terso è lo sfondo, la scena è nitida,”guarda le stelle, la luna e il sole come si muovono in silenzio” ed è il silenzio un altro elemento dominante dentro questo teatro. Nemmeno il mare fa rumore (quello ugualmente lontano e non considerato dalle due figure che solcano lo spazio con falcate indifferenti, sia a Rimini che a Messina), nemmeno le indaffarate sagome alle prese con lo shopping (foto dentro la foto in cui domina il ragazzo solo, la cui scelta di silenzio dal mondo circostante è rafforzata dalle cuffie), né le coppie raggelate, né i muti attori lontani nelle tre dimensioni est ovest centro di una sala d’attesa ad Amsterdam. Il silenzio diventa maestoso a Vienna, dove il gigantesco coniglio rosa si erige a contrappunto rispetto a superbe linee di storici palazzi e ad una perfezione di proporzioni e luce che commuove e segna un punto eccelso di incanto. Anche l’immagine del giardino a Verona è bellissima: le due figure sul sentiero che si biforca e il verde e l’immobilismo e i piani che rappresentano in maniera perfetta l’incomunicabilità nella banalità del quotidiano, lo stridore con la grazia dei luoghi. L’uomo seduto nell’accecante luminosità squadrata del cortile camilleriano si perde nel suo telefonino, anche il ragazzo nella periferia di Milano, o al McDonald’s di Roma dove la donna sola col suo cappuccino, in uno spazio scandito da tre diverse luminosità, rimane compunta e concentrata come se attendesse una simbolica entrata in scena. Le ultime tre foto racchiudono, per me, la pienezza assoluta. La bambina gioiosa e rumorosa nella nebbia d’acqua a Parigi; sempre a Parigi la ragazza in bianco si staglia solitaria in una sala-museo apparentemente profonda, in realtà frutto di una illusione prospettica, foto di foto con quadri appesi sopra; i due bimbi per mano nel museo di Madrid, il ditino puntato verso l’alto in un perfetto intrico di fili e luci e ombre e linee compiute; e l’immagine magrittiana finale: un uomo sulla panchina banalmente perso, si suppone, in un messaggio sul telefonino, ma reso immortale dalla estensione di fiori bianchi, abbaglianti e puri che rimandano alla complessità del surrealismo. Individui improbabili, sagome ammutolite, estraneità tragiche o banali, ingenuità seduttive, coppie disincantate, immense distese, costrittive stradine soffocate da brutti palazzi….forse la salvezza è volare, la salvezza è guardare, quando l’immagine simula l’estasi del volo e induce nel pensiero degli spettatori una estrema bellezza.

E’ come se l’artista volesse definire, attraverso una sua personale immaginifica convenzione visiva, la complessità del vivere e del vivere in due dentro gli spazi delle nostre città dove tutto sembra parlare un linguaggio diverso per ognuno, e dove intrecciarsi con gli intenti dell’altro diventa insopportabile, nonostante la purezza delle linee e dei colori che ci circondano. E’ più facile essere soli, o indifferenti, o interessati al proprio telefonino, che gestire la convivenza, la condivisione. Anche la bellezza diventa troppo offuscante per potere essere condivisa, meglio guardare altrove.

Ogni foto ha una sua ineffabilità che ci fa essere grati all’autore per la maestria con cui ce ne ha consegnato la visione. Tutto ciò che accade in questo sinuoso movimento narrativo in venti straordinari atti è frutto unicamente della visionarietà intuitiva e della maestria raffinata del fotografo. Niente è dovuto a supporti mediatici ulteriori, ma similmente niente è come appare: la realtà e la rappresentazione della realtà sono tutti dentro la capacità visionaria dell’occhio che fotografa e chi usufruisce dell’oggetto/arte/foto lo percepisce.

Ecco perché non si riesce a smettere di guardare le foto di Dino Mondello, si va dalla prima all’ultima e poi ancora e ancora e ogni volta emerge un dettaglio in più, ne proviene una scintilla in più che porta un po’ più avanti, un po’ più lontano. C’è tanta letteratura e pittura e filosofia in questa mostra, c’è una costruzione colta del pensiero contemporaneo che simula il movimento cambiato dei paesaggi europei. “E’ in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo. La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”, Pessoa indica bene tali percorsi di fascinazione. La chiave ulteriore di lettura, alla maniera del surrealismo magrittiano, sta nel linguaggio sotteso ad ogni immagine che scatena nello spettatore una esperienza estetica e incastra vari piani di percezione: la sensorialità dei luoghi, le periferie in ricostruzione, le architetture rivisitate, il mare, la sabbia, i giardini, creature perse, ma non completamente frantumate. L’artista ‘crea’ la poesia nel mondo degli oggetti familiari.

Lo spettatore osserva incantato l’immagine. Sono elementi semplici quelli che scatenano nello spettatore una esperienza estetica complessa: è l’ordine abituale delle cose che guarda ma, nel contempo, è indotto a desiderarne una trasformazione, a sentire l’inquietudine dentro quell’immagine fermata.

‘Riparare gli eventi’ ecco cosa fanno queste foto. Dietro la loro essenzialità c’è la sequenza millenaria del pensiero agito. La fotografia come corpo a corpo con un’ossessione, che porta a entrare in un territorio straniero e metterlo in scena magistralmente. La fotografia come racconto percorso da una energia che sostituisce il rumore, che determina dalla prima all’ultima immagine una intensa scrittura dei contorni e struttura nei sensi di chi guarda una sensazione di cui avevamo nostalgia: uscire dalla overdose visiva della contemporaneità e affermare l’essenzialità potente dell’arte. Cavalcare il tempo arricchito da un nuovo alfabeto emotivo.

Le illuminazioni fulminee di questa sequenza di foto, ognuna con una sua indimenticabile pienezza, raccontano, pertanto, di sentimenti quotidiani che vengono dal profondo e che riescono a consolare, nonostante la solitudine e l’infelicità pressante che a volte rimandano. Non inducono alla disperazione, bensì ad una sorta di consolante speranza. Inducono ad attraversare il male e l’indifferenza e stanziarsi dentro la bellezza e la purezza delle forme. Rammentano al mondo, come solo l’arte è capace di fare, che l’indifferenza esiste, l’ottusità esiste, l’infelicità esiste, gli spazi covano malesseri e trappole (ma li covavano anche prima), però un’opera artistica ben orchestrata ci conduce alla comprensione dell’universo. Ci porta a dialogare col creato, a credere ancora nell’immortalità. Queste foto ci ricongiungono col tempo, ci dicono che la bellezza è al di là del male. E ci consola sapere che questo c’era prima e c’è ancora.

Marietta Salvo

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