Previsioni meteo: ecco perché sono così complicate in certi periodi dell'anno

Previsioni meteo: ecco perché sono così complicate in certi periodi dell’anno

Previsioni meteo: ecco perché sono così complicate in certi periodi dell’anno

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martedì 21 Agosto 2018 - 04:45

Fra la visione dei satelliti e l'analisi dei modelli matematici ecco cosa si cela nel dietro le quinte di una previsione meteorologica, sia nell'ambito locale che nazionale

Molti pensano che le previsioni meteorologiche siano un qualcosa di scontato, già fatto e preparato, dopo ore di analisi e valutazione dei vari modelli matematici, aggiornati ogni 6 ore nel corso di una giornata. Ma in realtà non è affatto così semplice. La meteorologia è una scienza “probabilistica” che si basa principalmente su complessi calcoli probabilistici. Tanto per essere chiari nessun meteorologo è mai riuscito ad elaborare la famigerata previsione perfetta, azzeccata al 100 %. Qualcosa di imprevisto ci può scappare sempre, specie quando parliamo di previsioni alla “microscala”. Ma non per svista, disattenzione o negligenza del singolo previsore. Tutto dipende dalle miriadi di variabili che entrano in gioco in uno spazio temporale piuttosto limitato, capovolgendo in poche ore un dettaglio previsionale appena elaborato. Insomma, quello del meteorologo non è affatto un compito facile, differentemente di quanto si possa erroneamente immaginare. Weekend di sole poi rovinati da improvvisi scrosci di pioggia o temporali (nel periodo tardo primaverile estivo), devastanti grandinate impreviste che cagionano danni ingentissimi alle coltivazioni (con danni economici non indifferenti), o temporali che si continuano a rigenerare sulle medesime aree (la causa di gran parte degli eventi alluvionali occorsi sul nostro territorio), rappresentano gli imprevisti più temuti per un meteorologo.

Ma se a ciò aggiungiamo la presenza di un territorio dall’orografia tormentata e complessa, l’elaborazione di una accurata previsione richiede enormi quantità di tempo e fatica, oltre ad una lunga esperienza “sul campo”. In Italia il mestiere del meteorologo, differentemente dagli altri paesi d’Europa e del mondo, è irto di insidie, ostacoli che alle volte impediscono di poter formulare un ottimo prodotto verso i media e la cittadinanza. Per i meteorologi inglesi, olandesi e tedeschi non è molto difficile poter seguire il transito di una perturbazione, dato che queste provenendo direttamente dall’Atlantico, in assenza di imponenti catene montuose lungo la loro traiettoria, mantengono la loro forma originaria, evolvendo naturalmente verso est o nord-est, lungo il bordo degli anticicloni mobili (“Centri d’Azione”). Basta tenere d’occhio i “Centri d’Azione” in questione per calcolare la futura traiettoria di un sistema frontale o una depressione oceanica. In Italia non è così semplice. Elaborare le previsioni del tempo in un paese così complesso, sotto l’aspetto puramente orografico, può diventare un vero dilemma in determinate situazioni. Questo perché l’Italia è una penisola che si estende di latitudine sul bacino centrale del mar Mediterraneo, rappresentando una sorta di ponte naturale fra Europa e Africa.

Difatti vanta un posizionamento geografico piuttosto strategico. Distendendosi di latitudini, in un mare interno piuttosto vasto che presenta notevoli differenze (temperature delle acque superficiali, evaporazione, salinità) con il vicino oceano Atlantico, fra due vaste aree continentali, tra Africa settentrionale ed Europa centro-orientale, il nostro paese risente dell’influenza di vari e differenti regimi climatici. Ma quello che salta più all’occhio è la peculiare conformazione orografica. In questa posizione l’Italia è circondata da molteplici catene montuose e rilievi imponenti che con la loro mole sono in grado di “deflettere” la normale circolazione atmosferica nella media e bassa troposfera, riuscendo a far deviare i fronti perturbati e i sistemi frontali che s’inseriscono sul Mediterraneo centrale. Il riferimento non è tanto alle nostre Alpi e ai nostri Appennini, quanto ai rilievi che caratterizzano l’entroterra spagnolo, l’imponente catena montuosa dell’Atlante algerino, che spesso agevola lo sviluppo di profonde circolazioni depressionarie (forti avvezioni di vorticità positiva sottovento alla catena montuosa nord-africana) che puntano le isole maggiori, e i monti dell’area balcanica, che hanno un influenza strategica nella stagione invernale, durante le ondate di freddo continentali provenienti da nord-est.

Questi rilievi molte volte possono fungere da blocco ai fronti e alle aree nuvolose che provengono dal vicino Atlantico. Altre volte le perturbazioni possono subire importanti spostamenti o deviazioni, rispetto la traiettoria originaria, al punto da invalidare le tendenze proposte dai vari centri di calcolo internazionali. Se di già con il tradizionale flusso atlantico si riscontrano delle piccole difficoltà, le cose cominciano a complicarsi quando il tradizionale flusso perturbato occidentale, proveniente dall’Atlantico, comincia a rallentare per lo sviluppo di un imponente blocco anticiclonico che dal vicino Atlantico si estende verso la Scandinavia e la Russia europea, instaurando la cosiddetta circolazione “antizonale” (molto comune in inverno quando sopra le vaste distese Sarmatiche si affacciano le propaggini più occidentali dell’anticiclone termico “russo-siberiano” che si legano con gli elementi più settentrionali dell’anticiclone delle Azzorre distesi verso la Scandinavia o il Baltico), con venti prevalenti da NE ed E-NE, sia nei bassi strati che nella media troposfera. In questi casi le perturbazioni e i fronti nuvolosi si spostano da est verso ovest, transitando sopra le grandi distese continentali dell’Europa orientale, dove sono presenti importanti catene montuose, come i Carpazi e i rilievi balcanici. L’interazione con questi rilievi può produrre effetti molto complessi, non facilmente prognosticabili dai modelli matematici, prima che il fronte o la perturbazione raggiunga il territorio italiano, riversandosi sull’Adriatico, dove poi acquisisce maggiore umidità, con l’introduzione di intensi e rafficosi venti di bora, molto forti sul Golfo di Trieste e lungo le coste della Dalmazia, dove si superano i 100-120 km/h con estrema facilità.

L’introduzione di masse d’aria molto fredde ma più secche, di origine continentale, complica ulteriormente la situazione, rendendo le precipitazioni associate a questi fronti piuttosto discontinue, con accumuli più significativi solo sui versanti sopravento dell’Appennino orientale. A ciò bisogna aggiungere pure le complicanze nostrane, legate al “caos” dei tanti microclimi locali che caratterizzano ogni regione del Bel Paese, dalla Valle d’Aosta alla Puglia. Quella dei microclimi italiani è una questione molto complessa, ci vorrebbero giorni per elencarli tutti. In regioni dalla particolare conformazione orografica, come l’Emilia-Romagna, la Sicilia o la Basilicata, ne possiamo contare diversi, a pochi chilometri di distanza. Ogni area risponde diversamente al tipo di regime dei venti al suolo e in quota. Di certo, chi sa interpretare tutte queste variabili, appena elencate nel caso italiano, è in grado di poter formulare le migliori previsioni del tempo in ogni angolo del nostro pianeta.

Daniele Ingemi

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