In carcere un ganese e un nigeriano. Nei racconti dei sopravvissuti soccorsi dal mezzo militare irlandese emerge la paura dei terroristi d Boko Haram e la necessità di fuggire, a costo di un viaggio di inferno e mortalmente pericoloso, per salvarsi dall'orrore della persecuzione jidaistica.
Scappavano da Boko Haram, l'organizzazione terroristica jidaistica, i migranti sbarcati ieri a Messina. E' quanto emerge dai loro racconti, raccolti dagli uomini della Squadra Mobile dopo l'arrivo al Molo Marconi.
Quasi 200, soprattutto uomini ma anche molte donne, soprattutto nigeriane, senegalesi e ganesi, hanno raccontato il viaggio dell'orrore, pagato mediamente 300 euro: l'imbarco nei cappannoni di stallo in Libia, le violenze per essere ammassati sui gommoni, rinchiusi e controllati a vista da uomini armati, quindi la lunga traversata senza acqua, cibo, senza salvagente. Una unica raccomandazione nelle orecchie: non voltatevi mai indietro, guardare sempre avanti.
Fino a quando il pattugliatore militare irlandese non li ha individuati e soccorsi in alto mare, a bordo dei diversi natatnti di fortuna, e trasportati a Messina.
Qui i sopravvissuti hanno raccontato agli investigatori, coordinati dal dirigente Francesco Oliveri, della traversata, della partenza, e hanno descritto gli scafisti ei complici. Due gli arrestati, individuati tra i soccorsi, ora rinchiusi a Gazzi: Sulfyman Ibrahim, 52 anni, ganese, Francis Yeboah,accusati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Altre due persone sono state denunciate per lo stesso reato. Uni di loro ha 17 anni.
(Alessandra Serio)