Avvisati 3 camici bianchi del Policlinico. Il racconto straziante dei familiari di un 76enne operato al cuore
MESSINA – C’è più di una storia di “sanità difficile” nella vicenda al centro di una inchiesta della Procura di Messina, che indaga sulla morte di un 76enne originario di Scaletta Zanclea ma da tempo residente nel capoluogo. L’uomo è spirato all’ospedale di Taormina a fine giugno scorso, dopo giorni di coma indotto. Al San Vincenzo era arrivato in gravi condizioni l’8 giugno scorso dal Policlinico di Messina, dove era stato operato al cuore. “Quello che ci era stato prospettato come un banale intervento chirurgico di routine – racconta il figlio nell’esposto nell’esposto presentato dal suo legale, l’avvocato Ernesto Marcianò – ha portato mio padre in terapia intensiva”.
Non è tutto. Perché, raccontano i figli, l’uomo ha dovuto attendere mesi prima di poter essere ricoverato per l’intervento, prospettato a fine gennaio ma eseguito soltanto a giugno. In mezzo, una lunga attesa in lista al Policlinico di Messina e gli stop determinati dall’emergenza covid 19. “Voleva essere operato al Papardo – raccontano ancora i figli – ma il suo cardiologo di fiducia gli ha spiegato che lì non c’era posto”.
Tre medici indagati al Policlinico
L’inchiesta ha mosso i primi passi proprio oggi. Il Pm Roberto Conte, dopo aver acquisito le cartelle cliniche tra Taormina e Messina, ha incaricato i dottori Giovanni Andò e Michele Giannetto di effettuare l’autopsia sul corpo del 76enne, che sarà effettuata in giornata al San Vincenzo. All’esame assisteranno anche il dottor Nino Bondì, consulente di fiducia degli avvocati Marcianò e Alessandro Trovato che assistono i familiari. In vista della perizia il sostituto procuratore titolare del caso ha spiccato tre avvisi di garanzia per omicidio colposo, notificati all’equipe del Policlinico che ha operato l’uomo. Un atto dovuto al momento, che non esclude l’allargamento della rosa degli indagati ad ulteriori camici bianchi né che l’accertamento li scagioni da ombre di responsabilità penali.
La famiglia vuole chiarezza sulla tragedia
I figli dell’uomo non puntano il dito contro nessuno, ma vogliono capire se qualcosa non è andato come avrebbe dovuto, se il loro padre poteva essere salvato. L’esposto da loro presentato risale infatti a prima della morte del loro congiunto, quando lottava tra la vita e la morte, attaccato al respiratore, nel reparto di terapia intensiva del San Vincenzo Sirina. I tre medici sono difesi dagli avvocati Antonio Amata, Francesco Rugolo e Leo Decembrino.
La lunga trafila ospedaliera
Tutto comincia a gennaio scorso: il 76enne è cardiopatico e in cura renale. Le forti aritmie lo costringono al ricovero al Papardo dove resta ricoverato circa una settimana per accertamenti e dimesso con una diagnosi di emorragia cerebrale destra e viene richiesta una “chiusura percutanea dell’auricola sinistra.” Per poter effettuare l’intervento si arriva a inizio giugno, cinque mesi dopo la diagnosi. L’operazione viene effettuata il 7 giugno in mattinata. A metà giornata, la moglie riesce a vederlo: è in barella con l’ossigeno. Tutto ok, la rassicurano i medici. In serata l’uomo viene sottoposto ad emodialisi ma le sue condizioni si complicano e alle 22, racconta la moglie, arriva una telefonata devastante dall’ospedale: “signora, suo marito ha avuto un arresto cardiaco ed è stato intubato”.
Circa 2 ore dopo viene trasferito a Taormina d’urgenza. “Eppure – raccontano i familiari – solo qualche minuto prima quella spaventosa telefonata ci era stato assicurato che stava bene”. A Taormina viene riscontrato un edema che copre metà cervello del 76enne e, dopo circa 2 settimane in stato vegetativo, l’uomo muore tra la disperazione dei familiari.