Il mondo della moda, oggi, è dominato da due superpotenze: la holding francese LVMH (le iniziali derivano da Louis Vuitton, Möet et Chandon e il cognan Hennessy ma fanno parte di questa holding altisonanti marchi del lusso come Acqua di Parma, Fendi, Bulgari, Givenchy e Fendi) e la holding multinazionale PPR (la cui punta di diamante è rappresentata dal gruppo Gucci che, a sua volta controlla Yves Saint Laurent, Stella McCartney, Balenciaga, Sergio Rossi e la catena di librerie Fnac). Ma, come chiarisce Federico Rocca nel suo prezioso libro Hermès – L’avventura del lusso (Edizioni Lindau, pp. 256, €21, illustrazioni: N° 1/16 col. f.t.), fortunatamente ci sono due isole del lusso che resistono ovvero Chanel ed Hermès: «In esse, come in un regno antico, il potere si tramanda in linea familiare diretta». Sono accomunate da molte cose ma, a ben vedere «come Chanel – ma in maniera più radicale, ci pare – Hermès ha scelto di giocare la sua partita con un mazzo di carte diverso da quello delle megapotenze multinazionali». Una scelta ben precisa dunque, che caratterizza da sempre questa maison di moda, sempre fedele alla propria “missione”, tanto che Rocca non esita a scrivere: «Hermès canta fuori dal coro […] Si potrebbe dire che Hermès sia l’unica e vera maison al 100% dedita al lusso rimasta a Parigi». Un’affermazione non da poco, giustificata nel corso della narrazione.
Un passo indietro è d’obbligo. La storia di Hermès comincia nel 1837 quando Thierry Hermès fonda la Maison a Parigi, come manifattura di finimenti dei cavalli ma la svolta avviene nel 1897 con la messa in commercio della Sac Haut à Courroies, una grande borsa in cuoio destinata a contenere sella, briglie, morsi e bardature varie. Tuttavia ben si comprese che al posto di sella e briglie la borsa può ospitare una gran quantità di oggetti differenti, tutti quelli che un vero viaggiatore desidera avere con sé, ovunque nel mondo e in qualsiasi momento. Così Hermès entra nel mercato della moda.
Ricostruendo in modo dettagliato e ricco di aneddoti, la storia di Hermès, il fashion editor di Style.it, Federico Rocca, pone al lettore considerazioni ricche di spunti ipertestuali: «Nei periodi di crisi internazionale, uno dei settori a risentire di meno è quello del lusso».
Le edizioni Lindau non sono nuove a questi volumi (da segnalare anche “Luxury Hackers – dal Fordismo al Tomfordismo e oltre” di Danilo Venturi) che si rivelano essenziali per capire le tendenze che muovono ogni giorno il mercato della moda, svelando logiche ben precise.
Federico, il destino di Thierry Hermès, fondatore della Maison, è inciso nel suo cognome, Nomen omen, per citare la sua introduzione…
Esatto. Hermes era il dio messaggero. Proteggeva i viaggiatori e i commercianti. Per Hermès era quasi "obbligatorio" dare vita a un commercio fortunato con i finimenti per cavalli. Certo, il destino uno se lo può anche inventare e costruire. E la famiglia Hermès ha saputo fare anche questo.
Parlando di Hermès, lei osa un paragone con un’isola, una vera e propria roccaforte del lusso. Se dovesse condensare la concezione stessa dello stile della maison francese in poche righe, cosa direbbe ai nostri lettori?
Ricerca testarda della qualità. Dell'eccellenza e dell'imperfezione nella perfezione. Senza strategie palesi. Senza calcoli fatti tornare a tutti i costi. Fiducia nel bello. Rispetto per la propria storia. Sguardo rivolto sempre al futuro, e persino all'innovazione.
I foulard e la Birkin sono gli emblemi di Hermés, noti persino a chi conosce poco o nulla di moda. In particolare la nascita della Birkin nasconde un gustoso aneddoto che ne spiega le ragioni delle dimensioni e le sue funzioni…
Sì, l'incontro casuale su un aereo di Jean-Louis Dumas con Jane Birkin, che si lamentava di non trovare una borsa sufficiente mente capiente per le esigenze di una mamma sempre in viaggio. La cosa da imparare è come il mito nasca spesso dal caso. E che il marketing non può proprio tutto.
Nel 1978, Jean-Louis Dumas prende le redini della maison. Qual è la direzione che imprime alla maison?
Dumas è un grande innovatore, ha un talento sottilissimo nel percepire le esigenze del mercato e di adattare Hermès ad esse, senza assolutamente stravolgerne il dna. grazie a lui Hermès è diventata quello che è oggi: l'unico lusso, o quasi, del quale oggi abbia ancora senso parlare.
Sorprende positivamente il fatto che la famiglia possegga ancor oggi, circa l’80% del capitale d’azienda visto che sono moltissime le aziende note ormai passate di mano. Cosa significa per Hermès essere in mano alla famiglia fondatrice?
Significa non tradire le proprie radici. Continuare a fare ciò che ha sempre fatto (o, meglio, cose nuove ma con lo stesso spirito). In un certo senso, continuare a giocare la partita della moda con regole diverse da quelle con cui giocano le altre squadre del campionato. ma continuando a fare goal.
Tom Ford afferma che il lusso non può essere democratico altrimenti cessa d’essere lusso: a suo avviso, la ricerca della borsa griffata d’imitazione a prezzo stracciato – rinunciando alla custodia e soprattutto alla cura dei materiali e dei finimenti – non è, ipso facto, un non-sense?
Sì, forse, ma anche no. Se quello che ho io non possono almeno desiderarlo anche gli altri, che gusto c'è? E' una provocazione (ma fino a un certo punto)
Scrivi che "Nei periodi di crisi internazionale, uno dei settori a risentire di meno è quello del lusso". Sembra un paradosso oppure il lusso è il bene rifugio per eccellenza?
Semplicemente il lusso non è per tutti e quei "pochi" non risentono, spesso, delle crisi quei pochi non devono forse fare rinunce, rispetto agli altri (che si "accontentano" del prodotto medio, e che a un certo punto devono rinunciare anche a quello).