Partecipata e commovente cerimonia d'insediamento in Cattedrale: il nuovo arcivescovo raccoglie il testimone di monsignor Fiorini Morosini
Commovente e partecipata, questa mattina in Cattedrale, la cerimonia d’insediamento di monsignor Fortunato Morrone quale neoarcivescovo della diocesi Reggio Calabria-Bova.
Il saluto di monsignor Santoro
Evocato un versetto del salmo 31, «che so essere particolarmente caro a monsignor Fortunato» monsignor Salvatore Santoro, delegato ad omnia dell’Arcidiocesi, nel suo saluto a monsignor Morrone così gli ha rivolto il primo “benvenuto” da parte dell’intera comunità diocesana. «Le chiediamo di confermarci in una fede – ha scandito monsignor Santoro – che si nutra essenzialmente di comunione, per poter diventare strumento efficace d’evangelizzazione». Questo citando l’entusiasmo dei bambini, che «le chiedono e ci chiedono di non vergognarci mai della tenerezza, o del calore di una carezza». Ma anche menzionando un mondo “adulto” «tristemente disabituato ai fremiti dello stupore e alle liete sorprese della vita», e poi ancòra gli anziani, i malati, i fragili d’ogni sorta. E anche e soprattutto dando al neoarcivescovo il “benvenuto” da parte dei poveri, «vera ricchezza della chiesa di Gesù», che «le chiedono e ci chiedono d’essere voce di chi non ha voce; di non deflettere dal coraggio della denuncia di quanti disconoscono la ricchezza della solidarietà e del riscatto sociale». Valori che, ha indirettamente puntato l’indice monsignor Salvatore Santoro, conosce chi si mette al servizio «senza scalpore, perché non va alla ricerca di scampoli di consenso o di scoop mediatici».
Ma di cosa c’è più bisogno, in questo momento? Cosa chiede maggiormente la comunità diocesana al suo nuovo pastore? «C’è tanta fame, qui come ovunque, di parresia e di coraggio; di parole chiare, libere e mai ambigue, profumate di speranza e di futuro», ha scandito monsignor Santoro. Aggiungendo che chi «vive con pace la fatica del credere, ma anche di chi fa ancora tanta fatica a credere» sogna «una chiesa che sia casa per tutti». E che tutti costoro «le chiedono e ci chiedono di costruire comunità accoglienti e mai autoreferenziali».
Grandi e sentiti, peraltro, i ringraziamenti a monsignor Giuseppe Fiorini Morosini grazie al quale, ha posto in rilievo don Santoro, «non ci siamo mai sentiti soli o in deficit di paternità». E dunque a monsignor Fiorini Morosini il “grazie” dell’intera comunità diocesana «per il bene seminato in questi quasi otto anni di ministero episcopale tra noi». E, più analiticamente, «per lo zelo, la pazienza, il coraggio, l’amore, la delicatezza e la cura con cui – senza mai risparmiarsi – si è messo accanto a questo popolo ed al suo servizio: Dio gliene renda merito, e sia la sua ricompensa». L’attesa per monsignor Fortunato però c’era: «L’aspettavamo, non per partire da zero, ma per ripartire insieme», ha avuto a dire tra l’altro il delegato diocesano ad omnia, «per essere “collaboratori della sua gioia” come lei, da oggi, lo sarà della nostra, in ossequio al motto episcopale che s’è scelto». E ancòra, testimone della speranza di tutti, «…nessuno escluso, mai!, per citare una felice espressione del compianto don Italo Calabrò, davvero, uno dei nostri santi della porta accanto».
Le parole del neoarcivescovo
Monsignor Fortunato Morrone dà inizio «con gioia e trepidazione» al suo ministero episcopale, rivolgendo per la prima volta la parola ai “suoi” fedeli reggini. Ma rivolge un saluto pure al sindaco di Bova Santo Casile e al commissario prefettizio di Cutro – nel Crotonese – Domenico Mannino, grato della loro presenza in Cattedrale a Reggio.
Scherza sul peso dell’evangelario preso dalle mani del predecessore monsignor Giuseppe Fiorini Morosini: «Pensavo di reggere meglio ma… benedica!, si dice dalle nostre parti». E ricorda tra l’altro d’aver ricevuto l’ordinazione sacerdotale da un religioso amatissimo, amatissimo figlio di Reggio Calabria, arcivescovo amatissimo di Crotone-Santa Severina: monsignor Giuseppe Agostino. «Ora senz’altro, dall’alto dell’Amore trinitario, tifa orante per tutti noi», chiosa. Ringrazia poi il “suo” arcivescovo monsignor Angelo Raffaele, «che con delicatezza fraterna m’ha accompagnato fin qui»; e poi il delegato ad omnia monsignor Salvatore Santoro «per il fraterno e incoraggiante saluto», ma ancor più «per il lavoro che ha svolto in questi mesi per preparare l’avvicendamento alla guida dell’Arcidiocesi».
La gioia della condivisione riguarda, enuncia monsignor Morrone, innanzitutto il Mistero della Fede vissuto insieme. E cioè «la bella notizia che in Gesù siamo tutti, nessuno escluso, amati da morire». Non manca però l’umiltà, la pretesa consapevolezza di un’«inadeguatezza» a fronteggiare le sfide quotidiane, il sostegno agli ultimi, il supporto al “gregge” dei fedeli. La quale, aggiunge il neoarcivescovo reggino, «viene come interpretata dall’invocazione degli apostoli nel Vangelo: Signore, accresci la nostra fede». Perché, spiega ancòra, «io, Signore, sono onorato di lavorare in questa Tua vigna particolare. E però sono tante altre le sfide, in un mondo troppo spesso offuscato dall’ingiustizia e dalla prepotenza». «Scandali» che, riflette l’arcivescovo della diocesi Reggio Calabria-Bova, «non provengono solo dal di fuori ma anche dal di dentro delle nostre comunità per il nostro stile di vita a volte antievangelico, peccaminoso». Ombre che «c’inquietano e c’interrogano», anche se a volte, «per vigliaccheria», tentiamo d’ignorarle, «nei sicuri recinti delle nostre comunità o nei perimetri sacrali delle nostre liturgie, con la continua tentazione di occultare la tua luce splendida sotto il moggio». E allora, «Signore, aumenta la nostra fede –è poi risuonata l’invocazione di monsignor Morrone –. Basta un po’ di fiducia in Dio per spostare le montagne della nostra rigidità e ignoranza».
Epperò, sono tantissime anche le luci. Per esempio, rammenta il neoarcivescovo, quella che promana dai tanti che anche qui non rinunciano «a servirti, il più delle volte silenziosamente e di nascosto» servendo gli ultimi, i malati, chi versa nel disagio.
A seguire, la metafora della dialettica servo-padrone, un po’ tra certi antichi rapporti in agricoltura, il Vangelo dove trova posto la parabola dell’agricoltore-sfruttatore ed Hegel. Ecco che «il servo non si attende nulla: in tal senso, lavora senza alcun utile». Ecco che la «trappola religiosa» di «pretendere da Dio il “dovuto”» appiattisce la Fede alla logica del merito che applichiamo in tante altre dialettiche umane: «Ti meriti quest’incarico, questo titolo, questa posizione, questo posto, questo potere… meriti di essere vescovo, anche». E quindi il ministero di noi tutti, ammonisce monsignor Morrone, può «degenerare in funzionari del sacro, custodi del do ut des, esattori della legge del dovere e del dovuto, della prestazione che attende in ogni caso la ricompensa in qualsiasi forma possa essere espressa». Orizzonte dal quale guardarsi.
Eppure Giuseppe di Nazareth «non ha mai messo se stesso al centro», lasciando invece il centro della scena a Maria e ancor più al figlio, Gesù. «Il mondo ha bisogno di padri, ma non di padroni», puntualizza il neoarcivescovo. Nel senso che, citando la Lettera apostolica Patris Corde, il mondo «rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo».
Invece, è l’esaltazione scandita da monsignor Morrone, chi dedica la propria vita al vero amore «lavora nelle trame feriali e nascoste della vita, dove l’esistenza pulsa d’inosservata gentilezza e dedizione, come tante volte nelle nostre famiglie».
C’è ancòra spazio per far presente l’«insopprimibile desiderio che nessuno sia privato di assaporare anche una sola briciola della bontà del Signore». E rammentare che «la fiamma di questa fede che ha già spostato in questa diocesi le montagne» mediante figure quali San Gaetano Catanoso, Mons. Ferro, don Domenico Farias, Maria Mariotti, don Italo Calabrò, Franca Maggioni Sesti, suor Antonietta Castellini. Una splendida «coscienza credente» asserisce il nuovo arcivescovo, per poi chiarire che è proprio questa la Fede che occorre a tutti noi. «Una Fede che libera da ogni ansia di prestazione autoreferenziale, attivando tutte le energie migliori per la costruzione di spazi di tenerezza, di giustizia, di solidale e simpatica collaborazione con chi si impegna per convivenze accoglienti, tolleranti e pacifiche per una attiva e feconda cittadinanza nella casa comune di questo nostro piccolo mondo».