Morì contagiata di Aids, a processo i medici che non diagnosticarono la malattia

Morì contagiata di Aids, a processo i medici che non diagnosticarono la malattia

Alessandra Serio

Morì contagiata di Aids, a processo i medici che non diagnosticarono la malattia

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martedì 17 Novembre 2020 - 18:32

Comincerà a marzo prossimo il processo ai due medici di Messina che non diagnosticarono l'Aids alla donna morta, contagiata dal compagno che le nascose di avere l'hiv

Arriva ai giudici di Messina un altro tassello della dolorosa vicenda dell’avvocata morta a 45 anni di Aids, contagiata dall’ex compagno che le nascose di essere sieropositiva e dopo un lungo calvario di cure, senza che i medici riconobbero la malattia, se non troppo tardi.

Affronteranno il processo a partire dal 22 marzo 2021 i due medici imputati dell’omicidio colposo della donna, l’ematologa Arianna D’Angelo ed il reumatologo Aldo Biagio Molica Colella che la ebbero in cura, mentre in un altro processo è imputato per omicidio aggravato l’ex compagno Luigi De Domenico.

Sarà quindi davanti al giudice monocratico che i due sanitari chiariranno la loro posizione, difesi dagli avvocati Nicoletta Milicia e Andrea Pruiti Ciarello. I medici sono sereni e sono convinti che nel dibattimento spiegheranno qual è stato il loro ruolo e le effettive responsabilità.

Oggi il Gup Monia De Francesco, accogliendo la richiesta del PM Federica Rende, li ha rinviati a giudizio entrambi. Nel procedimento sono stati citati come responsabili civili le aziende Papardo e Policlinico, anche se quest’ultima non si è costituita all’udienza di oggi.

Parte civile sono invece la sorella dell’avvocata, protagonista della battaglia legale per fare luce sulla morte della professionista, e i suoi genitori, assistiti dagli avvocati Bonaventura Candido ed Elena Montalbano.

Nel corso degli accertamenti è stata acquisita, in incidente probatorio, un dossier stilato da due consulenti medici del giudice per le indagini preliminari. I consulenti hanno esaminato la complessa documentazione medica della quarantacinquenne, per verificare come avevano operato i due medici che l’avevano avuta in cura.

Secondo il dossier, che è alla base dell’Accusa, i medici non potevano non riconoscere i sintomi dell’Aids e avrebbero dovuto chiedere esami specifici. Cosa che invece non è avvenuta, se non troppo tardi.

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