Lo “Stupor mundi” di Antonello Bonanno Conti

Lo “Stupor mundi” di Antonello Bonanno Conti

Sefora Adamovic

Lo “Stupor mundi” di Antonello Bonanno Conti

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giovedì 23 Giugno 2016 - 07:09

La personale "di Federico II" è visitabile fino a lunedì 27 giugno. La lettura che ne fa Bonanno Conti è un elegante tentativo di commistione fra moduli rappresentativi che risalgono al Medioevo di Federico II e l’utilizzo versatile ed ispettivo dei materiali, che sembra sfiorare la Transavanguardia

Nella sede dell’Università Telematica Pegaso di Corso Cavour 79, proprio in questi giorni, dal 17 al 27 giugno, è visitabile la personale “Di Federico II” dell’artista Antonello Bonanno Conti. Incentrata sull’emblematica quanto poliedrica figura storica di Federico II di Svevia, re Delle Due Sicilie, la mostra pervade l’ambientazione quotidiana dell’antro, degli uffici e delle sale con l’irruenza espressiva di un linguaggio cromatico potente, di una ricerca materica esplicita, di un’ispirazione narrativa antica. Sovrano colto, lungimirante, amministratore moderno e precocemente laico, estimatore delle arti e appassionato teorico, attorno a Federico II sono sorte leggende e racconti, la sua fama gli fece guadagnare l’appellativo di “Stupor mundi” e la sua corte di Palermo ospitò quella Scuola Siciliana che grandemente contribuì alla nascita della lingua italiana. La lettura che ne fa Bonanno Conti è un elegante tentativo di commistione fra moduli rappresentativi che risalgono al Medioevo di Federico II e l’utilizzo versatile ed ispettivo dei materiali, che sembra sfiorare la Transavanguardia. Tele e teloni, tavole di legno, plastiche, lamine metalliche, impasti di carta pesta costituiscono le superfici di lavoro dell’artista, dove luminosi acrilici e smalti disegnano come le vetrate cangianti delle chiese gotiche, dove i dorati prepotenti imprimono regalità e spiritualità, dove innumerevoli stencil vengono usati per riscrivere una remota sconosciuta araldica. La collettività, stilizzata in infinite sequenze di corti che accolgono il sovrano, quasi ad alludere ai bassorilievi delle basiliche o ancor prima alle gigantografie dei templi classici, si scompone e ricompone nelle scene di vita del suo re, si frantuma in profili di giornale o vernice spray, si fa pellegrinaggio e scenografia che accentra l’attenzione sull’atteso ed amato Federico, come ne La sedia vuota, dove l’assenza è più acuta presenza. Il sincretismo religioso e politico si incarna. E si spezza ancora, la voce del popolo, nelle pittosculture dell’Assedio, dove l’umano si scontra con la febbricitante prontezza degli inizi e il desolato sanguinoso esito della fine d’ogni guerra. Quella stessa collettività si disintegra infine, sottoforma di leggiadri uccelli, come nella rappresentazione fra il malinconico e il mistico della nascita di Federico ne “Il passaggio di Jesi”, in cui la figura di Costanza d’Altavilla con in braccio il figlioletto si combina con le tante creature alate, tanto amate dal re da dedicare loro il suo unico trattato De arte venandi cum avibus.
Ad attenderlo, ‘fuori’, ben visibile dall’ampia vetrata dell’edificio, ecco il suo pensoso destriero di metallo, cavalcato dalla poeticamente inconclusa figura di Costanza, che galoppa diretto a recuperarlo, qui, in Sicilia, nel più autentico degli inferni e nel più poetico dei paradisi, <<Qui>> , dove, come scriveva Dante, << con più di mille giaccio: qua dentro è 'l secondo Federico>>. Qua dentro: sigillato nella mostra e nell’isola.

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