La conferenza tenuta dal professor Salvatore Giacobbe ha tracciato un’ampia panoramica sullo Stretto, abbracciando, insieme agli aspetti scientifici ed ambientali, anche quelli di natura etno-antropologica, storica e culturale
Si è conclusa sabato pomeriggio la mostra fotografica didattica dal titolo “I laghi di Faro e Ganzirri. Fotografia e cultura ambientale”, organizzata dalla Città Metropolitana di Messina in collaborazione con l’A.F.N.I. (Associazione Fotografi Naturalisti Italiani) e curata da Ezio Giuffré. Il Monte di pietà ha dato spazio all’allestimento di questa galleria fotografica dedicata alle Riserve Naturali dei laghi di Faro e Ganzirri, realtà locali di notevole interesse non solo dal punto di vista ambientale, ma anche storico-culturale.
A darci un’idea della ricchezza di questi luoghi è stata la conferenza tenuta dal Prof. Salvatore Giacobbe, del Dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali dell’Università di Messina. Il convegno, dal titolo “I laghi del Peloro: natura, scienza, cultura”, ha tracciato un’ampia panoramica sullo Stretto, abbracciando, insieme con gli aspetti scientifici ed ambientali, quelli di natura etno-antropologica, storica e culturale. Ai presenti, più o meno esperti in materia, sono state illustrate le caratteristiche fisiche della zona, i fenomeni naturali che in essa si verificano ed i mutamenti che questi comportano per le creature che la abitano. E’ stata sottolineata la posizione strategica dello Stretto, da sempre centro di scambi commerciali e culturali, luogo di passaggio di rotte migratorie (ad esempio per le tartarughe marine, che sfruttano le correnti per velocizzare i propri spostamenti), oltre che peculiare punto di incontro tra masse d’acqua con caratteristiche diverse, come quelle del Tirreno e dello Ionio. Proprio grazie a queste mescolanze, ha spiegato il Prof. Giacobbe, “si è qui venuto a creare un ecosistema unico, ricchissimo di specie diverse proprio perché luogo di transizione.”
Di questa ricchezza erano già consapevoli le popolazioni che, in epoca Greca e Romana, popolarono questo territorio. A dimostrarlo, (così è proseguito l’intervento) sono le testimonianze di pratiche di culto dedicate a divinità marine. Al centro del lago di Faro, sono stati infatti rinvenuti resti architettonici che si pensa potessero appartenere ad un tempio dedicato a Nettuno. Vi sono tracce di questa devozione, così come del culto ancora più antico, ed a questo sovrapponibile, della divinità femminile Pelorias. Si tratta di un adattamento locale della dea madre orientale Kyne, conosciuta anche nel siracusano con il nome di Aretusa. Il culto di questa divinità, dea delle acque e quindi della fertilità, venerata anche in forma di conchiglia, si spiega appunto con la grande ricchezza e prolificità di questi ambienti. Abbiamo testimonianza dei benefici, anche economici, che il variegato ambiente marino offriva ai siciliani. Specie di conchiglie di cui qui vi era grande abbondanza erano considerate altrove delle rarità, ed esploratori e collezionisti giungevano da tutto il mondo per procurarsele. Tra queste vi era ad esempio la Psammobia Vespertina, ma soprattutto la Pinna Nobilis, la più grande conchiglia del Mediterraneo, una tipologia di bivalve le cui notevoli dimensioni potevano indubbiamente risultare impressionanti ad un forestiero. Di questa, non solo veniva consumata la carne, ma il “bisso” (il ciuffo filamentoso con cui l’animale si ancora al fondale) veniva intessuto per produrre stoffe pregiate, che figuravano nei corredi delle spose più benestanti. Questo è il motivo per cui si crede che la conchiglia con la quale la dea Pelorias veniva identificata fosse appunto la Pinna, ed a riprova di ciò esistono esemplari di monete antiche, raffiguranti un tempio al cui centro appare l’immagine di una conchiglia simile.
Insomma, “vi è stato un tempo in cui la Sicilia era veramente il centro del mondo”, questo il nodo centrale del discorso, che ha ricordato ancora una volta di quanta bellezza fosse stato fatto dono a noi siciliani, prima che ce ne dimenticassimo, o che ne abusassimo. Un intervento di indubbio interesse, monito a riscoprire e salvaguardare una terra che in passato ci ha dato tanto e che non siamo stati capaci di ricambiare, ma che al contrario insistiamo a condannare, svilire, martoriare, o che ci limitiamo ad abbandonare, senza più curarci del suo destino, come se non appartenesse lei a noi e noi a lei, come non fosse sangue impastato di sale delle nostre vene.
Laura Giacobbe
Possibile che non si sia accorto dell’inquinamento derivante dalla mancanza di impianto di depurazione, dai pozzi neri e dai liquami versati nello Stretto dalla condotta che sbocca di fronte al Pantano piccolo? Mah!
Possibile che non si sia accorto dell’inquinamento derivante dalla mancanza di impianto di depurazione, dai pozzi neri e dai liquami versati nello Stretto dalla condotta che sbocca di fronte al Pantano piccolo? Mah!