Due anni al chirurgo, scagionato invece l'anestesista. Lucia Sigari morì nel 2017, a soli 59 anni, al Policlinico di Messina
MESSINA- Un lungo ricovero, accertamenti clinici che hanno evidenziato molte complicanze, le dimissioni poi il ritorno al Policlinico per l’operazione chirurgica al pancreas, conclusa nel pomeriggio del 27 febbraio 2017. La stessa sera il cuore di Lucia Sigari, 59 anni, ha smesso di battere. A stroncarla sono state le sue complicate condizioni di salute?
Non soltanto, secondo il processo, chiuso con la condanna a 2 anni del dottor Salvatore Lazzara, chirurgo, che dovrà anche risarcire i parenti, in solido con l’azienda ospedaliera. Assolto invece l’anestesista. Ha deciso così il giudice monocratico Pugliese alla fine del dibattimento, volto ad accertare se c’era responsabilità di uno dei due medici imputati di omicidio colposo, dopo aver analizzato la vicenda della cinquantanovenne. Si tratta del primo grado, per cui la posizione del camice bianco, difeso dall’avvocato Carlo Zappalà, dovrà ancora essere vagliata nei successivi gradi di giudizio.
L’Accusa, rappresentata dal Pm Annamaria Arena, aveva sollecitato la condanna ad un anno per Lazzara e l’assoluzione dell’anestesista.
Il processo
Ma il giudice ha deciso più severamente, sulla scorta dei risultati del dibattimento, in particolare delle consulenze dei medici legali e delle testimonianze dei familiari, assistiti dall’avvocato Giuseppe Romeo.
Inizialmente erano 7 i medici indagati per il caso della signora Sigari. La donna era stata ricoverata all’ospedale universitario il 3 febbraio perché in viso le si era acceso un preoccupante colorito giallastro. Ricoverata al reparto di Chirurgia generale, i medici dopo vari accertamenti le diagnosticano un tumore al pancreas e una sofferenza cardiaca.
Poteva essere salvata?
In attesa che i valori si stabilizzassero pre procedere all’operazione, i medici dimettono la cinquantanovenne, che torna in ospedale il 26 febbraio per sottoposti all’operazione, cominciata di buon mattino, l’indomani, e terminata nel primo pomeriggio. Usciti dalla sala operatoria, racconta il figlio della paziente, i medici comunicano che tutto è andato per il meglio, e la trasferiscono in terapia intensiva. Poi però il cuore della signora comincia ad accelerare i propri battiti in maniera anomala e, poco prima della mezzanotte, smette di battere. Secondo il consulente della famiglia, i dottori Nino Bondì e Angiò, il consulente chirurgo chiamato quando le condizioni della donna erano già complesse, anziché intervenire bloccando così l’emorragia in corso, proseguì il monitoraggio e la stabilizzazione.
Buttare fango sulla figura di un Medico che ha dedicato la propria vita al paziente è scandaloso . Esistono per fortuna altri due gradi di giudizio che possono fare luce sulle reali responsabilità e non è raro che le posizioni si ribaltino. Sarebbe doveroso aspettare prima di condannare definitivamente un Professionista perché la legge è chiara “fino a prova contraria”.
Gentilissimo, per noi la presunzione d’innocenza è sacra e l’articolo non getta fango su nessuno. Riporta solo la sentenza di primo grado. Cordiali saluti
E’ difficile dimostrare la propria innocenza quando si è innocenti. Mentre la colpevolezza ha sempre un elenco dettagliato di alibi da opporre.
Nasce naturale una considerazione.Vengono risparmiate le manette a un boss,di chiara fama, per motivi..giuridici….umanitari….etici …ecc,,ci scopriamo tutti improvvisamente garantisti, e non risparmiamo l’esposizione di un professionista serio e affermato, in un momento peraltro in cui la sanità è terreno di caccia per speculatori di ogni ordine e grado.Servirebbe una riflessione corale!!!