Radio: un triste ritorno al passato

Radio: un triste ritorno al passato

Michele Lotta

Radio: un triste ritorno al passato

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martedì 14 Aprile 2015 - 10:20

Ricordi e riflessioni del musicista Michele Lotta sull'esaltante stagione delle radio libere: il rock, il jazz e un mezzo di comunicazione da riscoprire dopo le numerose trasformazioni avvenute dagli anni '80 all’avvento del web.

L’argomento che mi appresto ad affrontare, ben lungi dal voler rappresentare una retorica esaltazione del passato, è il racconto di un sogno che si è avverato. Per i più giovani questa è la testimonianza di un periodo irripetibile vissuto in prima persona.

La mia generazione è cresciuta bella e tosta, sostenuta da psichedeliche visioni e magico entusiasmo, ma stenta a sopravvivere nel terzo millennio (un po’ come accade per la foca monaca…). Quelli che hanno anteposto i sogni alla concretezza, spendendo gli anni migliori senza mezze misure (ricevendo sovente in cambio niente di più di un sano appagamento spirituale), si schiantano inesorabilmente contro un solido muro costruito da materiali tanto resistenti quanto poco nobili come: denaro, fama, potere. Filosofando si potrebbe dire che per ogni muro abbattuto altre decine ne vengano eretti, ma se fino a ieri era sufficiente assestare delle robuste picconate per demolirli, oggi non si saprebbe che strumenti usare. Anche i pilastri portanti della società contemporanea sembrano affondare definitivamente le speranze di una felicità scevra da subdole convenzioni. Si, le "convenzioni" ovvero tutte quelle regole che costruiscono il linguaggio per comunicare in un mondo sempre più omologato ed appiattito su di esse. E’ ormai appurato che i mass media siano gli strumenti di diffusione del “verbo universale”. Televisioni, radio e giornali, arrivano ovunque informando e, al tempo stesso, condizionando.

Senza voler qui trattare l’argomento nella sua generalità (per la quale è comunque possibile applicare dei semplici parallelismi), mi limiterò a focalizzare l’attenzione sul rapporto tra radio, televisione e musica.

Io sono stato allevato dalla radio e dalla TV in bianco e nero, prima con l’unico, poi con due, quindi (cosa entusiasmante per i tempi) con i tre canali della RAI. Era l’epoca in cui la televisione entrava, pian piano, nelle case di quegli italiani cresciuti con la radio. Ma, nonostante l’impatto che il tubo catodico avrebbe avuto negli anni seguenti, la radio è sopravvissuta parallelamente, mantenendo (anche in momenti meno favorevoli) la propria specificità. Ricordo le serate passate ad ascoltare dalla radiolina a transitor i pochi programmi musicali che mi aprirono gli orizzonti sul rock e che trovavano unica corrispondenza nelle pochissime riviste italiane di settore. Rimarranno ben impressi nella mia mente i "viaggi a luci spente” sulle note di Rolling Stones, Springsteen, Dylan, Pink Floyd. Iniziava a farsi strada in me il seme che, germogliando, avrebbe segnato inesorabilmente gli anni a venire. La data fatidica della svolta fu quel mitico 1976, anno in cui entrò in vigore la legge che liberalizzò il grande fenomeno (nato in maniera del tutto clandestina qualche anno prima) della radio libera. Fui tra i primi a cimentarmi con il microfono: finalmente ciò che avevo sognato per anni diventava realtà. Il pionierismo dei primi tempi portava con se una poesia ben disegnata da Luciano Ligabue nel suo film Radio Freccia. Ricordo le luci soffuse sul mixer nelle notti in cui si annullavano le distanze tra chi stava da una parte dell’apparecchio e chi ascoltava dall’altra. Ho ancora in mente quella particolare sensazione determinata dalla musica che viaggia nell’etere mischiandosi ad esso, passando attraverso porte e finestre chiuse, fino a raggiungere altre anime sintonizzate, nello stesso momento, con la tua.

La televisione non aveva nella musica il suo argomento principale, il businnes discografico era agli albori ed il suo punto di riferimento storico era la radio. L’impatto che generò la radio libera si riflesse in breve ed in maniera tangibile nelle vendite di dischi che, prima di quel momento, venivano acquistati d’importazione ed a caro prezzo, cosa che non tutti i ragazzi potevano permettersi. Gli scaffali dei negozi cominciarono a riempirsi con quelle copertine che avrebbero consacrato leggende come Hendrix, Morrison, Marley, R. Johnson… Era sensazionale accendere la radio alle 10 del mattino ed ascoltare un programma di blues, piuttosto che jazz o rock. Si andava rigorosamente in diretta ed i dj’s si alternavano portandosi da casa i dischi che avrebbero costituito la scaletta del programma. L’entusiasmo era tale che alcuni di noi sostenevano parecchie ore di trasmissioni. Una sera iniziai alle 20 ed andai in onda sino alle 8 del mattino successivo. Tra decine di caffè ed altrettante sigarette trascorsi una notte indimenticabile ricevendo una quantità enorme di telefonate, a tutte le ore, da parte di persone tanto diverse tra loro: la ragazzina in vena di romanticismo ed il benzinaio del turno di notte, personale di ospedali e fornai al lavoro. Il popolo della notte trovò nella buona musica una compagnia che non aveva ancora conosciuto. Pensate quanto fosse gratificante sentirsi richiedere da voci senza volto – eppure così vicine – quei brani che avevi fatto conoscere proprio tu!

All’inizio degli anni ottanta la diffusione del 33 giri in Italia raggiunse i livelli più alti. L’interesse per la musica straniera, sino ad allora appannaggio di pochi, dilagò a macchia d’olio così come i concerti nei teatri e nei primi clubs. Un decennio, 1975-85, davvero aureo che segnò un’evoluzione culturale in tutti gli ambiti sociali. Anche le riviste musicali cominciarono a moltiplicarsi dividendosi per generi. In quel periodo le canzonette italiane vennero messe al bando e molti artisti (tra di loro anche personaggi di primo livello) furono sacrificati sull’altare della cosiddetta esterofilia, il neologismo che caratterizzerà un’epoca di estremi. Anche i nostri cantautori si allinearono su temi e musiche d’oltre oceano. L'esterofilia fu il primo segnale della globalizzazione (allora non si adoperava questo termine) e della volontà di conoscere e mischiarsi con il mondo. Leggevamo avidamente Kerouac e fummo folgorati dal mito della "strada". Una generazione cresciuta sull’onda delle rivolte popolari che si svolgevano in America contro la guerra del Vietnam. Si creò uno scollamento dalla mentalità dei genitori che rese i giovani (nella grande generalità dei casi) tanti “rivoluzionari” disposti ad abbattere i cliché del perbenismo borghese. Un sogno, come dicevo prima, che durò più o meno dieci anni e che cominciò a sgretolarsi con l’apparizione sulla scena dei networks radiofonici prima e delle televisioni private da li a poco.

L’escalation fu rapida e sancì la chiusura di un canale importante per la musica di qualità in favore della musichetta “mordi e fuggi” e dei tormentoni che tanti soldini hanno fatto guadagnare a chi con la musica ha sempre avuto un rapporto di puro commercio. Gli stessi giganti della discografia mondiale organizzano quotidianamente i palinsesti delle radio in funzione dei prodotti che intendono vendere. Piatti e mixer sono ormai scomparsi ed il dj si trova una scaletta gestita dal computer, con tot secondi a disposizione per parlare e non perdere il ritmo segnato da voce-musica-pubblicità in un “continuum” ossessionante.

La differenza che c'è tra i pionieri del microfono di ieri ed i professionisti di oggi si può sintetizzare nella stessa differenza esistente tra chi proponeva un tempo, con pochi mezzi e tanta fantasia, delle alternative, e chi oggi si guarderebbe bene dal farlo (pur avendo maggiori possibilità), pena il calo dell'audience.

Ancora una volta i sogni e la cultura sono stati spazzati via dai poteri forti con il conseguente, mortificante, ritorno ad un passato in bianco e nero. Il futuro della radio libera è adesso nel web che consente davvero a chiunque di mettere in rete la propria musica e condividerla. Un sussulto di autonomia che lascia ben sperare ed apre delle strade ancora tutte da scoprire… Il romanticismo dell’epoca rimarrà comunque come una delle espressioni giovanili più coinvolgenti e mai più proponibile.

Michele Lotta

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