Nel centro dei Nebrodi continua la corsa contro il tempo. Cliccando su photogallery la “cronaca” delle ultime ore di emergenza: i vicoli squarciati dalla frana, i volti preoccupati di chi non sa se farà mai ritorno a casa, la speranza che la terra cessi di percorrere il suo silenzioso ma insidioso -cammino-
«Fa bene a fotografare quella montagna (prima immagine in photogallery) perché domani non è detto che sia ancora lì». Un’affermazione a cui ovviamente dare il giusto peso, un’affermazione da non dover certo prendere alla lettera, ma che al tempo stesso, considerando la precaria situazione idrogeologica dell’intero comprensorio dei Nebrodi, racconta una verità sempre meno nascosta e sempre più sotto gli occhi di tutti: perché a parlare sono le frane, gli smottamenti, la terra che scivola senza dare preavviso. A pronunciarla uno degli ultimi abitanti rimasti a San Fratello, anzi volendo utilizzare la lingua madre, il gallico-italico, “San Fraerau”: parole che forse però raccontano lo stato d’animo di un’intera comunità. È sufficiente infatti raccogliere le testimonianze di chi in fretta e furia sta abbandonando la propria abitazione dopo avere caricato su moto-ape e camioncini i “pezzi” di una vita, oppure “rubare” le confidenze tra due vecchietti, per capire che loro, gli abitanti di quel piccolo borgo, quanto successo se lo aspettavano. Liberi o meno di credere in quello che potremmo definire “sesto senso paesano”, i presentimenti avuti negli ultimi giorni dalle 5000 “anime” che popolano, anzi popolavano il centro, sono diventati una tragica realtà: è accaduto infatti che un frana lunga quasi tre chilometri ha spaccato in due il paese e la sua comunità, è accaduto che in poco più di 48 ore uno dei più caratteristici gioielli che impreziosiscono il patrimonio dei Nebrodi sta rischiando di essere definitivamente abbandonato per trasformarsi in paese fantasma, espressione più volte utilizzate ma che meglio di ogni altra permette di descrivere la situazione di San Fratello.
Percorrendo la statale che conduce fin su il piccolo centro, sono più i mezzi d’emergenza e di soccorso che ci capita di incrociare che le “normali” automobili; queste ultime, al contrario, percorrono la carreggiata in senso inverso cariche di valigie, pacchi, cuscini e “abitate” da persone i cui volti raccontano già bene quanto troveremo una volta giunti nel cuore del paese “diviso”. I primi edifici in cui ci imbattiamo non rendono l’idea di ciò che scopriamo invece di lì a qualche metro, per la precisione in via Cirino Scaglioni dove la strada, come mostrano in modo più che evidente gli scatti in photogallery, è letteralmente spaccata e costellata di crepe all’interno delle quali è possibile scrutare la terra e le pietre venute in superficie. Ad ogni angolo uomini della Guardia Forestale, Carabinieri, Vigili del Fuoco “pattugliano” le zone a rischio delimitate con il nastro rosso e bianco; il rumore del gruppo elettrogeno sistemato per garantire l’illuminazione nelle case rimaste buie dalla notte precedente, il “ronzio” degli elicotteri della Protezione Civile che sorvolano le nostre teste: questo il nuovo volto di San Fratello. Poco più avanti lo scenario cambia ancora, e non in meglio: ci ritroviamo di fronte alla Chiesa parrochiale dedicata a San Nicola, fino a qualche tempo fa un’immagine da “cartolina”, oggi zona indentificata come possibile “punto di corona” della frana. Nello spiazzale antistante l’edificio sacro si parla a voce bassa, quasi in segno di rispetto, ma ad “urlare” sono le crepe che attraversano, all’interno ed all’esterno, l’intera struttura, “ferite” che difficilmente potranno essere sanate.
Un labirinto di vicoli secolari, l’uno simile all’altro, ognuno dei quali porta il segno di quella “linea” silenziosa ma profonda e ben visibile sotto i nostri piedi: l’atmosfera che si respira tra le strette vie del paese non cambia e a “raccontarla” ci sono i volti preoccupati e impauriti di giovani e vecchi che si conoscono e cercano di darsi aiuto. A condurci verso il Municipio, “cuore” dell’emergenza, i tanti mezzi delle forze dell’ordine che, posteggiati l’uno dietro l’altro, delineano il tragitto fino alla piazza antistante l’ingresso del Palazzo Municipale: una spazio che nonostante le ridotte dimensioni, raccoglie tante persone, abitanti e soprattutto “addetti ai lavori” che fanno da spola tra gli uffici comunali, trasformati in centro operativo comunale (Coc), e i vicoli del paese, per dare un aiuto alle persone che entrano nelle abitazioni pericolanti intente a raccogliere le ultime cose.
Ma il via vai è continuo anche fra i corridoi del Municipio dove la sala del consiglio comunale è diventata per metà sala stampa e per metà punto di raccordo tra le varie “forze” presenti sul territorio. Tra tutte le unità operative del Coc la più affollata è quella organizzata per l’assistenza alla popolazione: qui infatti tra uno squillo di telefono, una parola di conforto, una pacca sulla spalla o una stretta di mano, appare chiaro lo spirito di reciproca solidarietà sia tra coloro chiamati ad affrontare “operativamente” l’emergenza, sia nei confronti dei compaesani rimasti senza casa ed alla ricerca di qualche certezza, anche se per il momento solo verbale.
Lasciamo il Municipio, percorriamo in senso opposto la strada fatta per entrare in paese e davanti ai nostri occhi ancora una volta la chiesa “ferita”, la strada spaccata, i camioncini pieni di mobili da portare via, le case vuote, gli occhi impauriti e preoccupati della gente. Ma c’è anche qualcosa in più, ed è quel senso di impotenza che riaffiora prepotente ogniqualvolta la natura decide di “risvegliarsi”, come Messina ha ben imparato a proprio spese quella tragica notte di ottobre: perchè è vero, questa volta non ci sono state vittime, ma la ferita fa male ugualmente.
E.Dep.- E.Rig.
SERVIZIO FOTOGRAFICO DINO STURIALE