La riflessione del Consiglio diocesano di Azione cattolica dopo il femminicidio a Messina
L’omicidio della studentessa Sara Campanella. Di seguito la riflessione del Consiglio diocesano di Azione cattolica.
Sara, il tuo nome rimbomba nella mente. Il cuore pulsa rabbia, tristezza, impotenza eppure mancano le parole per dire tutto questo. Ogni parola sembra perdere la sua forza generativa dinanzi al dolore per una giovane vita strappata alle cinque del pomeriggio, sulle nostre strade, alla fermata dell’autobus dove ogni giorno sostano numerose persone.
Sara, nel tuo nome sono racchiuse le lettere che compongono milioni di altri nomi di ragazze, donne, figlie, madri le cui vite sono state ferite, straziate, dilaniate da chi continua a credere che l’amore abbia a che fare con il possesso, con il controllo e la sopraffazione; di chi continua ad affermare la propria virilità come mezzo violento di affermazione e distruzione. È responsabilità di tutti, se vogliamo vivere una vita buona insieme agli altri, reimparare la grammatica della relazionalità, rieducarci alle parole dell’amore e della libertà, dire con forza che la violenza che vorrebbe ridurre l’altro ad un oggetto nelle nostre mani ha solo la maschera dell’amore ma non la sua essenza, ribadire ovunque la sacralità di ogni vita umana. Il ricorso alla violenza dell’appropriazione è sempre una profanazione dell’amore bello, pieno e libero.
Ancora resiste la cultura patriarcale in ogni ambito
Sara, i tuoi sogni sono anche i nostri, la freschezza della tua giovinezza è anche la nostra, la voglia di progettare il futuro e di studiare con passione è la nostra, così come il desiderio profondo di amare ed essere amati. Sogniamo la gentilezza e la tenerezza, l’educazione e il rispetto, la sensibilità e l’empatia, il confronto pacifico e la comprensione reciproca. Sogniamo un amore come dono di sé perché l’altro abbia la vita e una vita piena, bella e accogliente così come, a ventidue anni, avrebbe dovuto essere la tua.
La violenza lascia sempre senza fiato, l’efferatezza di un gesto non può passare mai inosservata anzi sente il bisogno di farsi protagonista, di passare sotto gli occhi di tutti, di essere da tutti guardata, costringe a fermarsi, se vogliamo restare umani. Non ci sentiamo di usare la parola “banalità”, perché la fine di Sara continua a dirci quanto la cultura patriarcale sia endemica e radicata, con radici robuste che si diramano in ogni terreno: da quello familiare a quello lavorativo, passando per quello scolastico e universitario. Purtroppo non restano fuori i contesti educativi nei quali l’attenzione all’affettività, alle relazioni di equilibrio, alla parità di genere dovrebbe essere prioritaria sia in termini teorici, sia in azioni pratiche del quotidiano.
La morte di Sara ci ammonisce, nessuno escluso
Interroghiamoci, dunque, sull’apporto che ciascuno di noi dà al miglioramento di certi costrutti culturali; non pensiamo di essere arrivati a un traguardo perché la morte di Sara ci ammonisce, nessuno escluso.
L’Azione Cattolica diocesana si fa vicina ai genitori e ai parenti tutti della giovane Sara, rinnovando il suo impegno educativo nella promozione di atteggiamenti dialoganti che ostacolino il diffondersi di episodi di violenza di genere, negli ambiti e nei contesti in cui viviamo.

Il patriarcato non c’entra nulla; il diploma e’ un diritto; la laurea e’ un diritto; la vacanza e’ un diritto; i figli sono un diritto; la felicita’ e’ un diritto. Nella societa’ dei soli diritti, il rifiuto di una donna va lavato con il sangue. I genitori comincino ad educare al sacrificio; la scuola cominci a premiare chi si dedica allo studio e bocci gli scaldasedie titolari di diritti, affinche’ si accorgano del valore del tempo e del dolore. I genitori ricomincino ad essere complici dei docenti quando questi mettono note e non siano sindacalisti dei figli che sono geni per definizione. Siamo ad un punto di non ritorno. Lo Stato di diritto e’ ridotto ad una cloaca che deve resuscitare qualsiasi letame umano, cosicche’ il vero ergastolo lo vivono i parenti delle vittime. Se l’ergastolo non serve a nulla, c’e’ da chiedersi come deve ripagare la societa’ un individuo che si macchia di un simile delitto.