Il Dpcm chiude i teatri ma, dall’inizio della sua lenta e difficile ripresa, il mondo dello spettacolo ha sempre rappresentato il luogo più sicuro di aggregazione sociale e adesso non riesce più a restare in silenzio.
Dal 15 giugno 2020 al 10 ottobre 2782 spettacoli, 347262 spettatori, e contagi uno soltanto.
Sono i dati dell’Agis, Associazione Generale Italiana dello Spettacolo. Dati unici e testimonianza della scrupolosità con cui il mondo della cultura e dello spettacolo ha rispettato le norme anti Covid, rivelando i suoi luoghi “i più sicuri spazi di aggregazione sociale”, come ha scritto il presidente dell’Agis, Carlo Fontana, in una lettera al premier Giuseppe Conte e al ministro Dario Franceschini.
Oggi, però, i primi a chiudere per il Dpcm sono i teatri, i cinema; i più duri colpi vanno al mondo dello cultura, che con enorme difficoltà e sacrificio stava cercando di rialzarsi.
Franceschini cerca di rassicurare, manifestando il suo dolore per la chiusura e promettendo di sostenere le imprese e il mondo della cultura, arrivando, poi, ad affermare, in seguito ai numerosi appelli, che “chi protesta non comprende la gravità della situazione”.
A protestare, invece, è proprio chi la gravità della situazione l’ha sempre compresa e rispettata, ma che adesso non può più restare in silenzio.
Di cultura si vive
Questa scelta ha dato adito e valenza ad uno dei più fastidiosi detti popolari del nostro paese, quello secondo cui “con la cultura non si mangia”.
Detto che si sbaglia, e che voglio credere continuerà a sbagliarsi sempre.
C’è chi mangia grazie alla cultura, c’è chi vive di cultura e chi di cultura vuole vivere, tanti giovani che faticano ogni giorno per costruirsi un futuro fatto di questo, ma che adesso trovano totalmente interrotta la propria strada, e c’è chi grazie alla cultura si sente vivo, chi fa della cultura il nutrimento della propria esistenza, e adesso si trova sperduto.
“Stanno distruggendo tutti i miei sogni”; “è come essere malato e non poter ricevere più la propria medicina”; “ho combattuto per anni contro chi considerava il mio progetto di vita solo un piano B, adesso, invece, di un piano B sto iniziando a credere di averne la necessità”: queste parole sono di chi a diciott’anni ha lasciato la propria famiglia, la propria città per inseguirli quei sogni e vederli realizzare pian piano, passo dopo passo con immensi sacrifici; sono di chi investe tutto il suo tempo a formarsi con qualsiasi corso, qualsiasi strumento e qualsiasi occasione per vivere di arte; sono di chi ha fatto dello spettacolo il proprio mestiere, non soltanto la propria vocazione.
Non solo attori, musicisti, danzatori, ma tecnici, agenti, piccoli teatri, compagnie indipendenti, lavoratori dello spettacolo; scuole e accademie che hanno riaperto sacrificando tutto, e investendo ancora una volta in un futuro possibile; sono tutti coloro i quali stanno dietro le quinte, cui un sostegno manca totalmente; sono centinaia di migliaia di persone.
Non sono negazionisti, come è stato detto, perché nessuno sta negando la gravità del virus o la necessità di provvedimenti; non sono facinorosi, ma proprio coloro i quali hanno rispettato qualsiasi regola, difendendo la propria responsabilità personale e sociale, ma adesso non ce la fanno più.
A Messina si stava ripartendo
A Messina, il Teatro Vittorio Emanuele, lo scorso sabato e la scorsa domenica, aveva ripreso la stagione teatrale con “La Frittata”. Tanti i progetti in cantiere, coinvolgendo tutte le compagnie del territorio.
Si era avviata la 100^ Stagione Concertistica della Filarmonica Laudamo.
I nostri teatri indipendenti, il Teatro dei 3 Mestieri, i Magazzini del Sale e il Clan Off (dopo aver dovuto quest’ultimo calare il sipario in Via Trento) avevano ripreso, finalmente, le attività.
Le scuole di formazione avevano riavviato i corsi.
I nostri cinema, Apollo e Iris, dopo la chiusura della multisala Uci, colosso che a Messina non è riuscito a sopravvivere, resistevano alle difficoltà, ai film che non escono, o escono solo in streaming, regalandoci delle rassegne varie, nuove e adatte a tutti i gusti.
E con loro erano ripartiti anche i cineforum.
Con fatica, avevano tutti riconquistato un pubblico spaventato e confuso che, adesso, consapevole di poter diventare parte della magia dell’arte, in piena sicurezza, non vedeva l’ora di riprendere a sognare, ad emozionarsi e a vivere.
E, adesso, tutto dovrebbe fermarsi di nuovo?
Pensiamo solo al mondo della danza, all’allenamento costante di cui ogni ballerino ha bisogno, e pensiamo invece al mondo del calcio, e allo stesso allenamento di cui ogni calciatore necessita, non sembrerebbe assurdo se ogni calciatore si allenasse singolarmente, a casa propria, per poi disputare una partita di gruppo una volta ogni tanto? Perché invece la stessa assurdità non sembra valere per la danza?
Per questo nascono le proteste, gli atti di disobbedienza civile, è necessario dare ascolto a queste voci.
Sono luoghi sacri
Come la Messa, anche il Teatro è un luogo di culto per molti, anche il cinema crea una comunità. Non trovo la differenza, e non sono miscredente, per la quale sia possibile seguire una funzione religiosa in sicurezza e non invece sedersi all’interno di una platea distanziata.
Lo spettacolo non è un lavoro di serie B, non è un passatempo elitario e dispendioso. La cultura non vuole e non sta cercando adesso di confondersi con altri settori economici strategici, anche quelli fortemente vessati, non vuole affermarne la superiorità, semplicemente dimostrare la comune essenzialità.
La cultura non è un mercato, anche se un mercato può generare e genera, vuole solo essere tutelata per quello che è. Cinema e teatro sono luoghi sacri, beni essenziali, di condivisione e di diffusione di valori fondamentali all’umanità e alla cittadinanza.
Chiedono di essere ascoltati
Questi, che tanto danno alla comunità, adesso chiedono qualcosa, nulla di impossibile, solo ricevere ascolto.
Chiedono che vengano ascoltati i propri rappresentanti, chiedono una strategia, chiedono dei dati chiari, chiedono degli ammortizzatori sociali e delle alternative.
Abbiamo bisogno dell’arte e della cultura per affrontare insieme una situazione come questa, abbiamo bisogno della loro creatività e della loro energia.
Basterebbe soltanto ascoltarli, ascoltare questi saltimbanchi, questi folli, questi, troppo spesso, invisibili che ci fanno ridere e piangere, venire i brividi, scappare dalla realtà e al contempo conoscerla, questi strani artisti che ci fanno vivere e sopravvivere davvero.