Omicidi di mafia a Barcellona, verso la sentenza i boss dell'operazione Inganno

Omicidi di mafia a Barcellona, verso la sentenza i boss dell’operazione Inganno

Alessandra Serio

Omicidi di mafia a Barcellona, verso la sentenza i boss dell’operazione Inganno

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martedì 09 Luglio 2024 - 15:00

Sul tavolo del giudice le rivelazioni dei pentiti e le clamorose dissociazioni di Sam Di Salvo e Mastroeni sui retroscena delle lupare bianche

Messina – Scelgono di accorciare i tempi della giustizia i boss di Barcellona Pozzo di Gotto coinvolti nell’operazione Inganno, l’inchiesta della Dda di Messina e i carabinieri su 13 omicidi di mafia. Stamane si è aperta infatti l’udienza preliminare davanti la Giudice Arianna Raffa e praticamente tutti gli imputati hanno chiesto di essere giudicati col rito abbreviato. Sarà la stessa giudice per le indagini preliminari, cioè, a emettere la sentenza per loro, dopo aver ascoltato Accusa e difesa ma senza affrontare il dibattimento, alla luce dei soli elementi presenti ad oggi nel fascicolo d’inchiesta.

Verso la sentenza

Si torna in aula il prossimo 20 novembre quindi, per valutare le accuse contro il boss storico della famiglia, Giuseppe “l’avvocaticchio” Gullotti, il reggente Salvatore “Sam” Di Salvo, Stefano “Stefanino” Genovese, Giuseppe Isgrò, considerato il cassiere del gruppo alla fine del secolo scorso, Carmelo Mastroeni e Vincenzo Miano. Giudizio abbreviato anche i due pentiti che con i loro verbali hanno contribuito a fare luce sui retroscena di alcuni delitti, Salvatore Micale e l’ex boss Carmelo D’Amico. Soltanto Nicola Cannone ha optato per proseguire col rito ordinario e per lui l’Accusa ha confermato la richiesta di rinvio a giudizio. Per lui si profila quindi il processo ma la decisione è nelle mani della GUP Raffa, che deve ancora sciogliere riserva.

I boss “dissociati” dal pentito D’Amico

Oltre ad aprire squarci di luce su parte di quelle vicende di sangue, rimaste nell’ombra per decenni, l’operazione Inganno registra un’altra pagina clamorosa: ovvero il primo episodio di “collaborazione” tra Sam Di Salvo e lo Stato. Chiuso nel silenzio al 41 bis per anni, il “colletto bianco” Di Salvo, alla fine degli accertamenti, ha chiesto di poter rilasciare alcune dichiarazioni alla Procura, per chiarire alcuni fatti che gli vengono contestati e rendere la sua versione anche su altri episodi che non lo vedono direttamente coinvolto. In sostanza Di Salvo ha “smentito” D’Amico su alcuni punti specifici. I suoi verbali, resi alla presenza del difensore, l’avvocato Tindaro Celi, sono entrati negli atti dell’inchiesta. Dopo di lui anche Mastroeni, considerato legato a doppio filo a Di Salvo anche nelle attività nelle costruzioni, ha rilasciato dichiarazioni ai Pubblici Ministeri rivelando i retroscena di alcuni dei delitti e confermando così il suo ruolo. “Sono stato costretto, l’ho fatto per paura di essere ucciso”, ha detto in sostanza il costruttore dissociatosi.

A novembre toccherà quindi ai difensori, gli avvocati Tommaso Autru Ryolo, Diego Lanza, Giuseppe Lo Presti, Antonino Pirri, Luca Cianferoni, Gianluca Currò, Rosolino Ulizzi, Maurizio Marchetta, Franco Bertolone, Filippo Barbera, Giuseppe Cicciari e Cettina Fasolo.

L’operazione Inganno

ll blitz con 7 arresti è scattato a gennaio scorso. L’indagine ricostruisce i retroscena di 13 delitti avvenuti tra il ’92 e il ’98 grazie alle dichiarazioni di vecchi e nuovi pentiti, in particolare grazie ai racconti dell’ultimo collaboratore di giustizia che giura di aver lasciato Cosa Nostra di Barcellona, ovvero Salvatore Micale. Agli atti anche le dichiarazioni di D’Amico appunto, di Carmelo Bisognano e di altri pentiti.

Quegli omicidi di mafia come film dell’orrore

L’operazione viene denominata Inganno perché un inganno è proprio quello che ha portato alla morte Antino Accetta e Giuseppe Pirri. Un delitto degno di un film dell’orrore, titolarono i giornali quel giorno di fine gennaio del 1992. Era la mattina del 21 e una telefonata anonima avvisò le forze dell’ordine del fatto che all’ingresso del cimitero di Barcellona c’erano due cadaveri. Quando le divise arrivarono, trovarono i corpi senza vita dei due giovani stesi sotto un altare di pietra sormontato da una enorme croce. Due giovanissimi, puniti con la morte per piccoli furtarelli.

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