Dopo l'apertura della Cassazione alle attenuanti per l'omicidio di Lorena, delusione a Favara e nelle associazioni messinesi
Messina – Delusione e amarezza a Favara dopo la pronuncia della Corte di Cassazione sull’ergastolo ad Antonio De Pace per il femminicidio di Lorena Quaranta, la giovane dell’agrigentino uccisa dal compagno nella loro abitazione di Furci Siculo il 31 marzo 2020.
“Delusione e amarezza anche e soprattutto per i genitori di Lorena e gli altri familiari – dice l’avvocato Giuseppe Barba – che si aggiungono al loro dolore incolmabile”. “E’ un provvedimento che va approfondito e rispettato – commenta il legale – ma che, dopo una doppia conferma, scredita l’operato di due Corti d’assise”.
Segnale preoccupante in tema di femminicidio, da Lorena ad Alessandra
Tanta amarezza anche a Messina, dove la tragedia di Lorena ha scosso il mondo universitario, i tanti amici e le associazioni che si occupano in particolare di donne vittime di violenza, tutte accanto ai familiari lungo il percorso giudiziario. No comment ufficiali da quasi tutte le sigle impegnate come parti civili al processo e da quelle che a vario titolo hanno seguito la vicenda, all’interno delle quali si è però aperta una riflessione, anche qui velata dall’amarezza per la pronuncia della Suprema Corte. Per tutti è un brutto segnale in tema di femminicidio, soprattutto se associato alla travagliata vicenda processuale che ha caratterizzato il processo per l’assassinio di Alessandra Musarra.
Cedav: “Sistema giudiziario poco evoluto”
Parla invece il Centro donna antiviolenza di Messina, parte civile al processo per il femminicidio della giovane specializzanda favarese. “Nonostante si parli sempre di più di contrasto alla violenza di genere, nonostante si invitino le donne a denunciare e a non avere paura, nonostante le campagne di sensibilizzazione su tutto il territorio dai centri Antiviolenza, ma anche da parte del governo e dalle forze dell’ordine, di reati di maltrattamento, di violenza sessuale e di femminicidio ne continuano ad essere piene le pagine dei giornali, Ma poi, alla fine di tutto, dopo che tutto il sistema è stato mosso e ci si è spesi per debellare questi comportamenti che sono stati riconosciuti come violazioni dei diritti umani, ci ritroviamo, ancora una volta, a fare i conti con retaggi culturali e stereotipi che giustificano e sostengono il comportamento maschilista e patriarcale”. commenta la presidente Maria Gianquinto.
“Non riconosciuta la gravità del femminicidio”
“Non credo che le motivazioni addotte per giustificare questo annullamento con rinvio per la rivalutazione delle circostanze generiche facciano giustizia. È solo l’ennesimo segnale di un sistema giudiziario ancora poco evoluto e recettivo a tutte le sollecitazioni che arrivano non solo dalla società civile, o dai centri Antiviolenza, ma anche dalle direttive comunitarie e internazionali. Fino a quando non si riconoscerà il significato e la gravità che porta in sé il femminicidio, ci ritroveremo di fronte a motivazioni inaccettabili e a sconti di pena oserei dire umilianti. Umilianti per le donne, per i familiari e per tutta la società civile. Non ci resta che continuare a credere nell’importanza della nostra presenza sui territori e insistere con più determinazione nel nostro quotidiano impegno al fianco di tutte le donne vittime di violenza maschile”, conclude amara la rappresentante dello storico Centro messinese.
La pronuncia della Cassazione: attenuanti valutabili
La I sezione della Cassazione ha chiesto ai giudici di secondo grado di rivedere la condanna di Antonio De Pace, valutando la possibilità di concedere le attenuanti generiche. L’infermiere del vibonese è stato condannato all’ergastolo in primo grado, verdetto confermato lo scorso luglio. Se concesse, De Pace potrebbe evitare il carcere a vita. Sarà adesso la Corte d’Assise d’appello in diversa composizione a occuparsi nuovamente del processo.
Vergogna, sempre e solo vergogna!
Attenuante di che, ergastolo sempre in questi casi e 5 anni di isolamento per riflettere su quello che ha fatto.
Io diciamo da addetto ai lavori non ho parole sul giudizio della Cassazione. Da padre della ragazza non posso dire cosa farei, (forse) è illegale.