C’è stato un omicidio in Calabria. C’è stato un assassinio a Gioiosa Jonica. Il 21 marzo 1977 è stato giustiziato un uomo. Il suo nome era Rocco Gatto, vittima della ndrangheta, una delle tante, è vero, ma quel suo piccolo microcosmo più non è, ma la sua esistenza, per il resto simile ad altre, ha fatto la differenza. Era tesserato e militante del PC, Rocco, come il padre Pasquale, ma non è questo il fattore x nobilitante, ma anche causa della sua morte violenta. Rocco Gatto era un uomo consapevole, provvisto di coscienza e pensiero critico e di volontà di non condurre una vita vegetativa, ma di approntare un contributo civile alla società, con coraggio. Sì, il coraggio, è vero, non ce lo si può dare, ma se ne sei provvisto è per te un’arma a doppio taglio. Perché la narrazione, dopo ben 43 anni, di quell’accadimento? È cosa buona e giusta questa rimembranza, oggi che lo scenario, lungi dall’essere migliore, sembra essersi anzi incancrenito, in tempi quali questi nostri in cui il procuratore Nicola Gratteri lancia un grido richiama e accusa, ma quelle sue parole, dette in conferenza stampa, non sono riportate e si mette a tacere la rabbia dei giusti. È buona e giusta questa rappresentazione monologante, una produzione Piccolo Teatro Umano, su script di Nino Racco e da lui interpretata con gran piglio. Sin dall’incipit ci si avvede che non assisteremo ad uno spettacolo omologato, che anzi non ci sarà neanche uno” spettacolo”, ma il “cunto” di una storia, attraverso un cantastorie appunto. Nino Racco è avvezzo alle piazze, a cuntare alle folle, ma in questa mise en scene- ove da subito, fin dall’ingresso del pubblico, ne ricerca il contatto – tira fuori una vulcanica versatilità, fra canto e racconto, ponendosi ora nei panni della gente del paese, ora in quelli del padre, poi in quelli di Rocco stesso, e riesce a tenere desta l’attenzione per tutti i 40 minuti, anzi a far si’ che gli astanti non gli stacchino gli occhi di dosso e si distraggano rischiando di perdere qualche sfumatura di una storia che coinvolge e sconvolge. Tutto sembra iniziare dalla folle decisione di chiusura del domenicale mercato, forzosamente imposta ai commercianti dalla locale ndrangheta, a cagione dei funerali del boss Vincenzo Ursino, ucciso dalle forze dell’ordine. Rocco aveva pubblicamente denunciato tale stortura alla caserma dei carabinieri, ma probabilmente era stata, questa, solo la punta dell’iceberg di un modo di essere ribelle e non omertoso che lo aveva portato a dichiarare in RAI che non avrebbe mai pagato il pizzo alla mafia, a costo della morte. Nino Racco rende una piccola forma di giustizia all’esistenza di Rocco Gatto, e lo fa con uso minimalista di ogni altro mezzo che non sia la propria voce e le parole scelte, queste sì essenziali: e così unico oggetto di scena diviene una sedia ricoperta da un drappo nero con al centro, quando non è indossata dall’attore, una maschera bordeaux. Rocco veste un completo nero, con camicia grigio scuro, , e nessuna concessione a supporto oltre le luci, che vanno e vengono, a scandire i momenti narrativi attraverso faretti a soffitto. Applausi prolungati e spettatori sinceramente convinti, alla fine. Poi un gustoso piccolo appuntamento di convivialità, introdotto ai Magazzini del Sale, in questa stagione 2019/2020, con la sezione “Giusto un Sabato” . La Rassegna si conferma , ancora una volta, di notevole spessore, con rappresentazioni sovente di gran fattura, spesso controcorrente, sempre comunque di innegabile qualità. Per inciso: attraverso il padre, Pasquale Gatto,Rocco è stato insignito dall’allora Presidente della Repubblica Pertini di medaglia d’oro al valore, alla memoria. Il processo per la morte di Rocco non ha avuto riconoscimenti di colpe,è intercorsa solo condanna dei fautori della chiusura del mercato … poco davvero.
Opera aperta…evocazioni in attesa di giustizia
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lunedì 20 Gennaio 2020 - 08:25
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