Operazione “Chirone”, i “regalini” che facevano andare tutto liscio - NOMI DI TUTTI GLI ARRESTATI

Operazione “Chirone”, i “regalini” che facevano andare tutto liscio – NOMI DI TUTTI GLI ARRESTATI

Mario Meliado

Operazione “Chirone”, i “regalini” che facevano andare tutto liscio – NOMI DI TUTTI GLI ARRESTATI

martedì 23 Marzo 2021 - 19:09

Il "pentito" Fondacaro spiega come funzionava lo scambio corruttivo tra i plenipotenziari della 'ndrina e i funzionari compiacenti dell'Asp

Il Sistema che collegava criminalità organizzata e politiche della spesa dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria attraverso le sue varie articolazioni territoriali, a guardare tra le righe del provvedimento, era davvero qualcosa di capillare e perverso. Fondato sulla violenza mafiosa, certo; ma anche su doni elargiti «opportunamente»…
Ma vediamo meglio alcuni degli ulteriori elementi emersi dopo l’operazione “Chirone” di questa mattina, messa a segno dai carabinieri del Raggruppamento operativo speciale e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

Gli arrestati

Nino Coco
Nino Coco: ai domiciliari
il noto ginecologo e politico

Questi i nomi dei 14 soggetti arrestati nel blitz “Chirone” di questa mattina: custodia cautelare in carcere per Girolamo Giuseppe Fabiano Tripodi e poi per Nino Cernuto, Antonino Madaffari, Franco Madaffari detto “capretta”, Mario Vincenzo Antonio Riefolo e Martino Taverna; agli arresti domiciliari sono stati invece assegnati Giancarlo Arcieri, Salvatore Barillaro, Nino Coco (non dunque semplice indagato a piede libero come erroneamente desunto durante la conferenza stampa, ndr), Giuseppe Fiumanò, Domenico Salvatore Forte, G. G. (posizione poi archiviata, n.d.r), Pasquale Mamone, Federico Riefolo. Per Giuseppe Cernuto è stata invece disposto l’obbligo di dimora nel Comune di residenza.
La richiesta di custodia cautelare formulata dagli inquirenti anche per Santo Cuzzocrea, Francesca Grazia Laface, Giuseppe Antonio Romeo troverà invece accoglimento o rigetto «all’esito degli interrogatori».

I preziosi «regalini»

Come già evidenziato, uno degli “infallibili” metodi usati dai Tripodi e, più in genere, dalla cosca Piromalli per ottenere decisioni di favore e ingraziarsi questo o quel funzionario o dirigente dell’Asp di Reggio Calabria riguardava i doni. Spesso, anche costosi.In particolare, già nel 2015 il “pentito” Marcello Fondacaro rivela che per accelerare nella tempistica delle liquidazioni a favore del laboratorio Minerva e della Mct, o sbrogliare questioni che attenevano a pagamenti effettuati utilizzando capitoli di spesa differenti, risultava spesso determinante il rapporto privilegiato intrattenuto con Francesca Grazia Laface, assistente amministrativa dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria. «Subito, andava lui e gli faceva il pagamento, andavo io e ci mettavano sei mesi. Piero Mesiani, poi c’erano questi punti di riferimento all’interno che era la Franchetti, la Laface… funzionari dell’Asp e dell’Asl 10, Ufficio Ragioneria» (riferimento all’ex Asl 10 di Palmi poi confluita nell’Asp reggina, ndr), «in più – aggiunge il collaboratore di giustizia – c’era questo soggetto Ferraro, altri direttori della ragioneria che potevano essere una volta Lucchetta che è di Rosarno (…). La dottoressa Laface era l’emissaria dei pagamenti dell’Asp, che inviava alla tesoreria dell’Ubi Banca di Palmi. I “favori” fatti alle aziende private convenzionate dalla dottoressa Laface consistevano nell’anticipare le date dei pagamenti e di dare così corsia preferenziale a talune strutture piuttosto che ad altre. So che le arrivavano dei “regalini” per questa prestazione. Per arrivare alla Laface si passava da Guerino Amoroso, dipendente dell’Asp».

Marcello Fondacaro
Il “pentito” Marcello Fondacaro

Tutte asserzioni corroborate dai riscontri su numerosi contatti e incontri avuti con la Laface sia da Fabiano Tripodi sia da Antonino Madaffari. Al punto che il 7 dicembre del 2017 «è la stessa donna a sottoporre all’attenzione del responsabile il modulo di liquidazione in favore di Mct», con zelo, perché le sue attenzioni venivano «opportunamente remunerate». Per esempio con cesti natalizi, lasciati nell’auto della donna «per evitare sguardi indiscreti»; ma anche borse griffate: il 27 marzo del 2018 Madaffari, in una conversazione captata dagli investigatori, parla proprio di borse appena acquistate all’outlet di Castel Romano, una delle quali destinata alla Laface. «Quando si mettono le persone che uhm!… si mettono a disposizione… vai e gli cerchi una… capisci? Poi tu sembra brutto… io non ti dico che gli devi dare soldi che… – dirà poi Madaffari a Federico Riefolo – uno non arriva veramente a queste cose, a queste bassezze, vai e gli dai soldi… il toso… però per esempio la signora s’è prodigata, “maricchiedda” (poverina, ndr), a chiamarmi per dirmi del pagamento delle fatture», e questo perché? «Ti vogliono bene. Li vedi – è la spiegazione di Madaffari –, ormai c’è… si è instaurato un rapporto di… di… diciamo di… di amicizia (…).Quando arriva questo periodo, come il periodo di Natale, di Pasqua e di Natale, se non gli prendi qualche fesseria, una cagata poi, la borsetta, il portafoglio, la cosa, il foulard… ti sembra brutto, a uso… ti senti pure tu stesso…».
Ma la Madaffari, stando agli inquirenti, sarebbe stata attenta addirittura a chiedere che la borsa non fosse dello stesso tenore di quelle regalate ad altre colleghe: «No, no, no, era completamente diverso, tutt’altra storia», risponderà Antonino Madafferi. Da parte dell’intraneus – la Laface –, una «condotta corruttiva» ben chiara, stando ai magistrati.

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