Dieci persone sono state rinviate a giudizio perchè ritenute vicine al boss di Mangialupi Nino Trovato. Il 20 giugno prossimo compariranno davanti ai giudici della seconda sezione penale del Tribunale con l’accusa di associazione mafiosa finalizzata al traffico di droga. Srà processata anche l'intera famiglia Campagna nella cui casa di contrada Murazzo a San Filippo furono sequestrati dalla Polizia un vero e proprio arsenale ed oltre due chili di cocaina. Il boss Nino Trovato, che oggi ha accusato un malore in aula, sarà giudicato domani.
Dieci rinvii a giudizio sono stati decisi oggi nell’udienza preliminare dell’operazione “Murazzo” che il 20 aprile dell’anno scorso portò all’arresto di otto persone fra affiliati e fiancheggiatori del boss di Mangialupi, Nino Trovato. Proprio la posizione di quest’ultima è stata stralciata poiché Trovato ha accusato un malore mentre era in aula. Il padrino di Mangialupi sarà giudicato domani se le sue condizioni di salute glielo permetteranno.
Così come richiesto dal sostituto procuratore della Dda Giuseppe Verzera e della Procura ordinaria Fabrizio Monaco saranno processati il 20 giugno prossimo, con l’accusa di associazione mafiosa finalizzata al traffico di droga, Letterio Campagna, la moglie Maria Passari, i figli Giovanni, Roberto e Consolato, Antonio Campagna, il catanese Sebastiano Minutola, che deve rispondere dell’acquisto di alcune partite di cocaina dai Campagna, Rocco Rao ed i fratelli Maria e Giuseppe Sturniolo che avevano il compito di recuperare i crediti per conto del clan, cioè i soldi delle partite di droga che non erano state pagate. Le indagini della Squadra Mobile accertarono gli stretti rapporti che intercorrevano fra la famiglia Campagna ed il clan Trovato. Il 23 gennaio di due anni fa in un casolare di proprietà dei Campagna, in contrada Murazzo a S.Filippo Superiore, gli uomini della Mobile effettuarono un blitz sequestrando un vero e proprio arsenale composto da kalashnikov, mitragliatori, fucili, detonatori, munizioni da guerra e sei chili di cocaina. In manette finì Letterio Campagna che si accollò tutte le responsabilità per la presenza di armi e munizioni nel casolare, scagionando i due figli. Gli investigatori, grazie ad una cimice piazzata nel parlatoio del carcere, seguirono tutti i movimenti della famiglia e scoprirono che a gestire il clan, dopo l’arresto di Letterio Campagna, era stata la moglie Maria Passari. La donna si recava in carcere ai colloqui con il marito e prendeva ordini. Grazie alle intercettazioni ambientali gli agenti della Mobile sequestrarono, il lunedì di Pasqua di due anni fa, oltre due chili di cocaina nascosti nel casolare di S.Filippo.