Terreni demaniali, terreni militari, particelle in riserve naturali, intestati a morti o a persone sconosciute. Così gli arrestati dell'operazione Nebrodi truffavano l'Europa e spedivano i soldi all'estero, a Malta e in Ungheria
I terreni controllati dalle basi Nato, un’area dove sono istallate alcune antenne del Muos di Niscemi, particelle delle aree della Fondazione Lucifero di Milazzo, del Fondo edifici sacri della Prefettura di Siracusa, dei parchi dell’Emilia Orientale, della sughereta di Niscemi.
Insomma c’era di tutto tra le particelle di terreno sui quali gli arrestati chiedevano i contributi agricoli. Sulla carta, nelle pratiche spedite dai Centri di Assistenza Agricola all’Unione Europea, erano intestati a chi chiedeva i contributi. In realtà erano demaniali, addirittura militari, o di enti pubblici, o di aziende in realtà non attive. Oppure di persone che hanno scoperto che i terreni erano stati intestati ad altri quando hanno ricevuto l’avviso dal Catasto dell’Agenzia delle Entrate.
Quando i contributi arrivavano, finivano in conti aperti in Lituania, in Malta, in Ungheria. Insomma, parte degli almeno 150-200 mila euro che le pratiche agricole fruttavano, finivano verso fondi esteri. Sono queste le operazioni finanziarie compiute dagli arrestati dell’operazione Nebrodi, e scoperti dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri del Ros.
I terreni risultavano donati con atti di donazione falsi, c’erano timbri falsi dell’Agenzia delle Entrate, risultavano intestati a soggetti deceduti, oppure uno stesso terreno veniva utilizzato per più richieste di contributo. Nella maggior parte dei casi si trattava di terreni dove né si coltivava tanto meno si pascolava. E sono ubicati ovunque: da Fiorenzuola a Marzabotto, da Centuripe a Gela, da San Salvatore di Fiarlia e Licodia Eubea. Ancora. Santa Cristina Gela, Modica, Palagonia, Sclafani Bagni, Temini Umerese Ragusa Ibla, Montevago. E tanti altri.
E’ davvero lungo l’elenco dei comuni italiani in cui si trovano zolle di terreno utilizzate dagli arrestati per pratiche agricole. Mai da loro avuti in concessione effettiva, sostiene la Procura di Messina.
È grazie a questa gentaglia parassita che la Sicilia affonda ed i giovani sono costretti ad andare via. Dovrebbero essere condannati ai lavori forzati in miniera a vita.