Incendiata la villetta e la macchina di un teste dell'operazione Refriger. Gli agenti della Mobile identificano i due soggetti e scoprono che nel loro mirino c'era anche un investigatore.
Era stato anche grazie alle sue dichiarazioni che, lo scorso 24 giugno, la Squadra Mobile di Messina era riuscita ad infliggere un duro colpo al clan di Mangialupi in quella che viene ricordata come l’Operazione Refriger. Erano state le sue parole, difatti, a condurre prima all’arresto e poi alla condanna dei messinesi Francesco Turiano, Eugenio Paone, Pietro Coppolino e Domenico Parisi.
A distanza di qualche mese, le ritorsioni nei confronti di “colui che ha parlato” non si sono fatte attendere. L'uomo si è visto incendiare, nella sola notte del 7 maggio, sia la villetta di Acqualadroni sia la macchina posteggiata in una via centrale di Messina. Gli agenti della squadra mobile hanno però impiegato pochissimi giorni per ricostruire l’intera vicenda e inquadrarla in un clima di intimidazione verso l'uomo, testimone chiave dell’Operazione Refriger. E’ bastata difatti solo una settimana per mettere le mani sui due autori degli incendi, il 30enne Giovanni Panarello ed il 40enne Salvatore Arena, entrambi messinesi e da ieri sottoposti a fermo giudiziario. Ad emettere il provvedimento sono stati il Procuratore generale Guido Lo Forte e i sostituti procuratori Maria Pellegrino e Camillo Falvo.
Ulteriori indagini hanno poi permesso agli agenti di scoprire che i due avevano già organizzato altri atti intimidatori. Nel loro mirino, anche un investigatore della Squadra Mobile della Polizia di Stato.
LA STORIA. L’Operazione Refriger scattò lo scorso 24 giugno e condusse all’arresto del 28enne Francesco Turiano, conosciuto come Nino Testa, del 29enne Pietro Coppolino, del 44enne Pietro Coppolino e del 24enne Domenico Parisi. Le indagini della sezione Criminalità Organizzata avevano svelato l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga e armi. Due, in particolare, i maxi sequestri effettuati nei mesi precedenti che avevano spinto gli investigatori a ritrovare un filo conduttore e chiudere definitivamente il cerchio.
Il primo avvenne il 14 gennaio 2013. Quel giorno gli agenti ritrovarono e sequestrarono un vero e proprio arsenale: una pistola mitragliatrice, tre pistole semiautomatiche, due revolver, una penna pistola artigianale, un fucile automatico calibro 12 modello Breda, un panetto di tritolo di quasi mezzo chilo, un cilindretto di tritolo di quasi 50 grammi, un migliaio di munizioni anche da guerra, un chilo di polvere da sparo e due chili di marijuana.
Il secondo, invece, avvenne il 7 febbraio dello stesso anno. Ad Acqualadroni, in un tratto di spiaggia a ridosso del muro che delimita la passeggiata del lungomare, ad una profondità di circa 40 cm dalla superficie, gli agenti ritrovarono una pistola mitragliatrice, due pistole semiautomatiche, tre pistole a tamburo, circa duemila munizioni di vario calibro, oltre a quasi 16 kg di eroina e 1 kg e mezzo di cocaina. Solo di recente il Gup ha inflitto ai quattro arrestati una pena totale di 46 anni di carcere.
Le guerre, i conflitti, l’odio NON e NON porterà mai nulla di buono SOLO problemi a tutti!! ONESTI E NON!
La cosa giusta da fare è sempre comportarsi bene e non far del male a nessuno.
Ora mi chiedo… fare danni ad altri a cos’è servito? cosa avete / hai guadagnato!?
Oggi nessuno ha più paura di nessuno, ma è anche vero che chi è dal lato della giustizia dovrebbe capire.
CHE:
Il messinese è disperato e dunque purtroppo certe azioni sono dettate dalla disperazione e dalla fame in tutti i sensi anche a livello spirituale. E’ bene anche punire ma è anche vero che chi sbaglia deve capire che sbaglia.
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i soddi facili piaciunu a tutti,e,u lupu peddi u pilu ma no u viziu,a buon intenditore poche parole
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