A Santo Stefano di Camastra la pregiata ceramica ha resistito alla pandemia da coronavirus ma ora è minacciata dal caro prezzi. Superare la crisi? La ricetta ci sarebbe...
Prima la pandemia da coronavirus, ora il caro prezzi. Se i piccoli esercenti scontano tutto il peso della crisi, è il settore artigiano il più minacciato dal caro prezzi. E nel settore artigianale a Messina certamente la fa da padrona il distretto della ceramica di Santo Stefano di Camastra. Un settore che rappresenta un’eccellenza del territorio e che in questi ultimi anni ha trainato le visioni dello sviluppo turistico dell’area a cavallo tra le province messinese e palermitana. Emanuele Esposito, ceramista e titolare dell’azienda Desuir, spiega che aria tira.
“Non scontiamo ancora il caro energia, ma guardiamo con preoccupazione alle prossime scadenze. Abbiamo dei contratti annuali bloccati con i fornitori che scadono però a breve. In più, il rialzo delle materie si è già fatto sentire. Nelle ultime settimane per esempio il poliestere, che usiamo in gran quantità per imballaggio e spedizioni, è schizzato su del 65% in più. Noi vendiamo prodotti unici, frutto di un lavoro artigianale impegnativo, già di per sé “costosi”. Negli ultimi decenni la concorrenza cinese, che vende su larga scala ceramiche a prezzo irrisorio, ci ha tagliato fuori dall’export che negli anni ’90 assorbiva il 90% della nostra produzione. Inoltre, facciamo i conti col mancato ricambio generazionale: non tutti i nostri figli vogliono seguire le orme, dure e difficili, dei padri imprenditori-artigiani e ci sono sempre meno maestranze formate. Non possiamo anche alzare i prezzi più di tanto, che ridurrebbero ancor di più il nostro utile”.
E’ questa, oggi, la minaccia per il distretto della ceramica stefanese: è un comparto che non può ridurre la qualità dei propri prodotti, per far fronte ai rincari senza aumentare più di tanto il prezzo finale. Oggi l’alternativa per i ceramisti di Santo Stefano, come per tutti gli artigiani del made in Italy, è tra il chiudere o il rilanciarsi.
Ma per Esposito il bicchiere non è mezzo vuoto. Perché la ricetta esiste: “Siamo sopravvissuti al crollo dell’export diversificando i nostri prodotti e il mercato di riferimento, abbiamo innovato le nostre linee con collezioni più moderne, affidando pezzi di ispirazione nuova ai nostri tradizionali prodotti. Con l’innovazione abbiamo tenuto anche alla pandemia, che comunque abbiamo sentito perché i nostri sono prodotti voluttuari, i primi alla quale la gente rinuncia quando la crisi bussa alla porta. Così, in questi due anni nessuno o quasi ha chiuso, a Santo Stefano di Camastra. Però si è ridotto l’indotto, chiamiamolo così: le aziende che prima avevano 15 dipendenti oggi ne hanno 10, le aziende più piccole con pochi dipendenti adesso sono a conduzione esclusivamente familiare”.
Adesso, però, il caro prezzi preoccupa. E risposte dalla politica non se ne vedono all’orizzonte: “Non si sostiene un settore con work shop spesso mal organizzati, manca una vera e propria strategia di sostegno al nostro settore – spiega Esposito, che in passato è stato più volte impegnato nell’associazionismo di categoria – ma questo in parte è anche colpa nostra. Da noi la politica del fare rete non ha mai funzionato. Altrove, dove i produttori sanno stare insieme meglio, come a Caltagirone, sono arrivati più sostegni economici e maggiori benefici. Oggi esiste comunque un distretto della ceramica siciliano, e non possiamo che sperare che ci traini tutti.” Anche sotto questo aspetto, quindi, la ricetta ci sarebbe: fare squadra.