Pizzo Mueli, il lato splatter delle leggende dei Nebrodi

Pizzo Mueli, il lato splatter delle leggende dei Nebrodi

Alessandra Serio

Pizzo Mueli, il lato splatter delle leggende dei Nebrodi

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domenica 09 Marzo 2025 - 07:00

Cruente torture, lupi mannari, tesori dei briganti e cunicoli segreti. Sulla mitica roccia dei Nebrodi i racconti popolari si fanno dark

Galati Mamertino – Cruente torture medievali, lupi mannari, cunicoli sotterranei e pentole d’oro. C’è tanto splatter nei racconti popolari siciliane e uno per tutti è il simbolo di questo lato delle storie che la cultura contadina ha tramandato per secoli. Si tratta di pizzo Mueli, che si staglia sui Nebrodi, non lontano dalle mitiche Rocche del Castro. Perché questo costone roccioso che si erge fiero lungo quelle che una volta erano le principali vie della transumanza e della mietitura sui Nebrodi, di notevole interesse naturalistico e paesaggistico, è teatro delle principali leggende nebroidee.

I passaggi segreti dei briganti

Nelle immediate vicinanze sono stati scoperti infatti fitti reticoli di cunicoli, attribuiti ai briganti che imperversarono sulle montagne prima e durante l’unità d’Italia ma soprattutto dopo, durante la leva forzata imposta dal regno sabaudo. Per sfuggire alla leva e non abbandonare alla miseria le famiglie furono tanti uomini, soprattutto giovani, alla fine del 1700, a darsi alla macchia nelle campagne. Quei cunicoli, si narra, erano il loro nascondiglio e le loro strade di collegamento tra le varie province siciliane. E proprio sotto Pizzo Mueli oltre a nascondersi avevano sotterrato il loro “tesoro”, le ricchezze accumulate nelle scorribande e il pagamento dei tanti favori chiesti loro da vari personaggi.

Il tesoro nascosto sotto la montagna

Dal tesoro dei briganti alla pentola d’oro che i cari estinti in sonno rivelano essere custodita sotto pizzo Mueli il passo è (stato) breve e fino a qualche decennio fa il marito morto da poco, il padre o il nonno che compariva in sogno alle donne dei paesi limitrofi era una costante in tutte le famiglie.

Il lupo mannaro e le case di Bolo

“Nei racconti destinati ai bambini dei paesini nebroidei, poi, fino a qualche decennio fa non poteva mancare “u lupu mannaru”. Anche lui, secondo le leggende, si aggirava nelle notti di luna piena intorno a pizzo Mueli. Proprio per evitare che il lupo mannaro possa entrare nelle case, si narra, il quartiere Bolo di San Basilio, frazione di Galati Mamertino, ha una caratteristica particolare. La manciata di case adagiate sulle pendici all’ombra del leggendario costone è stata costruita con le porte principali rialzate di tre scalini. Salendo i gradini dello stesso numero della Trinità, narra la leggenda, il lupo mannaro si sarebbe trovato impossibilitato a entrare nelle abitazioni delle giovani ragazze del borgo, ambite dal licantropo per ragioni immaginabili e decisamente splatter anche queste”, racconta Cristian Parafioriti, lo scrittore di Galati Mamertino che ambienta nella zona del suo paese d’origine e negli anni dei briganti i suoi principali libri. Per scrivere questi racconti Parafioriti ha spulciato l’archivio comunale di Galati, imbattendosi elle tracce storiche di tanti racconti popolari della cultura contadina.

Le torture splatter dei briganti di pizzo Mueli

La parte splatter in assoluto delle leggende legate a pizzo Mueli riguarda però le torture inflitte ai conti di Longi dagli stessi briganti che il duca aveva assoldato per punire lo “sgarro” del figlio del gabelliere. “Il bel giovane era votato agli altari e così il parroco di Longi lo aveva chiamato a dire messa. Fu proprio a una funzione religiosa che la moglie del duca, molto più giovane del marito, lo notò innamorandosene perdutamente. Il ragazzo però la rifiutò, deciso a prendere i voti. Furiosa, la donna per vendetta raccontò al marito che il ragazzo l’aveva presa con la forza e il potente del paese assoldò la banda dei briganti che si nascondeva a pizzo Mueli per punire il figlio del gabelliere con la morte. Una vendetta consumata all’uscita della messa della notte di Natale. I briganti assoldati erano ai comandi, si narra, del mito brigante Testalonga, il più famoso brigante del periodo post unitario di cui gli storici rincorrono le tracce in varie province dell’entroterra siciliane”, racconta Barbara Cangemi de La Stretta di Longi, che ha fatto rivivere la più splatter delle leggende siciliane e il mito di Testalonga in una messa in scena-evento che ha coinvolto attori e cantori per le vie del paese.

Storie di amori impossibili e vendette

Il gabelliere del duca di Longi scoprì l’inganno e pianificò la sua vendetta, unendosi ai briganti di pizzo Mueli e fornendo loro ogni servigio per un anno. Allo scadere dell’anno, pattuì, per una sola notte la banda sarebbe stata al suo servizio. Quella notte, un anno dopo, il gabelliere comandò di assaltare il palazzo del duca e sterminarne la famiglia.

La cruenta fine del duca di Longi

La vendetta fu esemplare e, appunto, decisamente splatter. “Il conte fu appeso alle mura del palazzo a testa in giù e gli fu colato addosso lardo di maiale bollente, alla moglie furono chiuse le mammelle in una cassapanca e i briganti ci saltarono sopra fino a quando la poveretta non spirò (tortura medievale rintracciata effettivamente nelle cronache storiche, questa ultima), mentre la dama di compagnia fu legata per i capelli ad un cavallo aizzato alla corsa lungo le strade di tutto il paese”, racconta Oriana Civile, la cantante folk, attrice e autrice appassionata di tradizioni siciliane, coinvolta nella rievocazione. La dama si chiamava Imbellica, recita la tradizione popolare, per questo gli anziani del paese ancora oggi indicano in Passo Imbellica il posto dove, secondo la leggenda, la donna finì di soffrire, dopo essere stata trascinata a lungo dal cavallo.

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