Ripercorriamo le tappe di una storia dai molti lati oscuri, che si intreccia con l'inchiesta giudiziaria sul procuratore Siciliano. Il tribunale amministrativo si pronuncerà nel merito fra un mese e mezzo
«Lo scrivente non può non convenire che l’intero iter procedurale è stato caratterizzato da comportamenti anomali». Le parole sono dell’ing. Giuseppe Arena, perito incaricato dalla Procura di effettuare una consulenza tecnica sull’intera vicenda Molini Gazzi. Una vicenda -anomala-, appunto, dall’inizio alla fine, anche se la fine deve ancora arrivare. Probabilmente verrà scritta il 25 febbraio prossimo, quando al Tar di Catania si terrà l’udienza di merito sollecitata con urgenza dal Cga di Palermo. Ma i contorni dell’intera storia sono così poco definiti e sono talmente tanti i passaggi controversi che vale la pena ripercorrere tutte le tappe, per ricostruire un puzzle per solutori più che abili. Tenendo sempre presente che sullo sfondo c’è il dramma sociale di un’azienda storica, la Molini Gazzi appunto, che ha chiuso battenti con tutto ciò che ne è conseguito dal punto di vista occupazionale. Dramma che è lo specchio di una città che non riesce più a risollevarsi.
LA NOTA DI SICILIANO E LA VARIANTE AL PRG
Tutto nasce il 3 settembre 2008, quando l’ex sostituto procuratore di Messina Pino Siciliano, agli arresti domiciliari dal maggio scorso fino al 25 novembre, invia una nota al sindaco Giuseppe Buzzanca con oggetto -destinazione urbanistica dell’area occupata dalla Molini Gazzi-. In quella nota Siciliano afferma che la classificazione della zona come B1, cioè col massimo indice di edificabilità secondo il Prg vigente, «non risponde ai dettami dell’articolo 36 delle Norme d’attuazione del Prg». Poche settimane dopo, il 25 settembre, l’assessore all’Urbanistica di Palazzo Zanca, Pippo Corvaja, invita il dirigente al ramo, Manlio Minutoli, a «formulare con cortese sollecitudine una o più proposte di variante all’attuale destinazione urbanistica dell’area in esame». La proposta di variante viene redatta, con la previsione di modificare la destinazione urbanistica dell’area da B1 a D1, cioè a destinazione «prevalentemente commerciale, industriale e artigianale». L’atto mette in crisi il concordato tra il proprietario della ditta, Francesco Pulejo, e il tribunale fallimentare che segue l’iter della liquidazione della Molini stessa: secondo la perizia redatta dall’ing. Francesco Colonna per conto del tribunale, infatti, quell’area con destinazione B1 vale 7 milioni di euro ma con destinazione diversa (D1 o B4c) ne vale due di meno, 5 milioni.
IL PROGETTO FIRMATO TARANTO E GLI SCONTRI COL COMUNE
Il danno si concretizza soprattutto perché nel frattempo viene redatto un progetto, firmato dall’ing. Luciano Taranto, che prevede la realizzazione al posto della fabbrica di un complesso edilizio di ottomila metri quadri da sette piani fuori terra. Cioè quanto consentito da una destinazione urbanistica B1. E qui si apre la fase cruciale della vicenda, con i lavoratori sul piede di guerra pronti a parlare di speculazione edilizia. Il 12 dicembre 2008 Pulejo e Taranto presentano la richiesta di concessione edilizia. La legge regionale che regola la materia, all’articolo 2, prevede che «la domanda di concessione edilizia si intende accolta qualora entro centoventi giorni dal ricevimento dell’istanza non venga comunicato all’interessato il provvedimento motivato di diniego». Esattamente al 117esimo giorno, l’8 aprile 2009, gli uffici comunali inviano una nota con tutta una serie di rilievi tecnici che portano a sospendere il termine previsto dall’articolo 2. Una tempistica perfetta, ma la ditta va avanti e il 14 aprile invia comunque a Palazzo Zanca la comunicazione di inizio lavori, essendo trascorsi i 120 giorni, e al tempo stesso diffida formalmente il consiglio comunale dall’approvare la variante al Prg proposta da Corvaja. Una settimana dopo il Comune risponde e a sua volta diffida Pulejo dal procedere con i lavori. Il giorno dopo, il 22 aprile, la Polizia Municipale sequestra l’area e appone i sigilli. Sempre in quel giorno le intercettazioni inerenti l’inchiesta su Siciliano diranno di alcune telefonate del sostituto procuratore, particolarmente interessato allo svolgimento dei fatti. Nei giorni successivi il Gip convalida il sequestro ma il Tribunale del riesame, con ordinanza del 25 maggio, accoglie il ricorso presentato dall’avvocato Antonio Catalioto per conto di Pulejo e fa togliere i sigilli.
IL DOPPIO PRONUNCIAMENTO DEL TAR E L’APPELLO AL CGA
Nel frattempo un’altra strada viene percorsa al Tar, al quale Pulejo ha fatto ricorso. A maggio il tribunale di Catania lo respinge, salvo poi tornare sui propri passi il 22 luglio accogliendo i motivi aggiunti portati all’attenzione da Catalioto e sospendendo, di fatto, la nota del Comune con i rilievi tecnici al progetto. Palazzo Zanca non ci sta, riscontrando un vizio formale nel passo indietro del Tar e nel -doppio pronunciamento-, e presenta appello al Cga. Il giudice di Palermo accoglie la sospensiva, ma al tempo stesso invita il Tar a procedere il più presto possibile col giudizio di merito che, come detto, avverrà in tempi brevissimi, il prossimo 25 febbraio.
IL DINIEGO DELLA CONCESSIONE EDILIZIA
Aspettando le vicende giudiziarie il Comune non sta con le mani in mano. Il 27 luglio, cinque giorni dopo il pronunciamento del Tar, il dipartimento Edilizia privata redige un rapporto istruttorio con relativa proposta di diniego o annullamento delle concessione edilizia, trasmettendo il tutto il giorno dopo alla Commissione ediliza comunale e chiedendo che la pratica venga inserita all’ordine del giorno il 28 luglio stesso. La Commissione, ovviamente, chiede più tempo per gli approfondimenti e rinvia il tutto alla prima riunione utile dopo la sospensione estiva, cioè al 17 settembre. Qui gli atti vengono esaminati ma la decisione viene rinviata di una settimana, al 24 settembre. Tre giorni prima, però, il dirigente del dipartimento, Francesco Rando, ritira il fascicolo dalla Commissione e il 25 settembre redige il provvedimento di diniego della concessione edilizia. E’ l’ultimo provvedimento firmato Rando, che il 1 ottobre sarebbe andato in pensione. Coincidenza vuole che anche l’ultimo atto della lunga carriera di dirigente dell’Urbanistica di Manlio Minutoli riguardi la vicenda Molini Gazzi: il 30 ottobre scorso, esattamente un giorno prima di andare in pensione, Minutoli redige una nuova proposta di variante al Prg, essendo stata quella precedente ritirata da Corvaja. In quella nuova si chiede di trasformare l’area della Molini da B1 a B4c, -di completamento- (indice di edificabilità: 6 piani fuori terra), mantenendo però, secondo la perizia di cui scriviamo sopra, il danno di 2 milioni di euro per Pulejo (che infatti il 22 dicembre invia una nuova diffida al consiglio comunale).
LA PERIZIA DELLA PROCURA E LE OMBRE SULL’INTERO ITER
A sostegno della propria operazione, Pulejo e il suo legale, l’avvocato Catalioto, gettano sul tavolo la perizia tecnica redatta dall’ing. Giuseppe Arena per conto della Procura di Messina. Perizia che mette in discussione, di fatto, la tesi di fondo, sostenuta in prima battuta da Siciliano, secondo cui l’area della Molini Gazzi non potesse essere classificata come B1, che smonta i rilievi tecnici sollevati dal Comune con la famosa nota del 9 aprile 2009 che verrà esaminata dal Tar a febbraio e che soprattutto getta pesanti ombre sull’intera procedura. Arena definisce «privi di sussistenza» tutti i rilievi tecnici formulati dal coordinatore tecnico del dipartimento Edilizia privata Salvatore Parlato e sottoscritti dal dirigente Rando. Passando alla classificazione B1, ritenuta non conforme ai dettami delle Norme tecniche d’attuazione da Siciliano e dunque un errore materiale da correggere da Corvaja e Minutoli, l’analisi di Arena è degna di nota. Va ricordato che per zone B1 si intendono «le aree edificate all’interno della zona Borzì», zona dalla quale, teoricamente, l’area di Molini Gazzi sarebbe fuori. Ma ecco cosa scrive il perito incaricato dalla Procura: «E’ evidente che quanto riportato nelle Norme tecniche d’attuazione non è altro che una descrizione puramente indicativa e sommaria dell’ubicazione di tali aree (…). La dizione -comprendono le aree edificate all’interno della zona Borzì- non può avere quindi alcun carattere prescrittivo in quanto, anche se essa potrebbe sottintendere la perimetrazione del Piano Borzì redatto nel 1911, tale perimetrazione non risulta riportata negli elaborati grafici del Prg e quindi assume il carattere di riferimento storico». Ancora più direttamente Arena scrive che «il richiamo alla zona Borzì appare altamente aleatorio e generico». Motivo per cui, secondo Pulejo e Catalioto, «è evidente come l’unico presupposto della volontà dell’Amministrazione di procedere alla variante, ovvero porre rimedio ad un presunto -errore-, sia del tutto infondato e pretestuoso». Concludiamo, dunque, col passaggio più inquietante della perizia di Arena, quello con cui abbiamo aperto questa lunga analisi e che getta ombre su tutta la vicenda. A proposito degli atti prodotti dagli uffici comunali, il consulente della Procura mette nero su bianco infatti che «l’intero iter procedurale è stato caratterizzato da comportamenti anomali».
(foto Sturiale)