Un commento sulla tragedia di Giampilieri-Scaletta Zanclea

Un commento sulla tragedia di Giampilieri-Scaletta Zanclea

Un commento sulla tragedia di Giampilieri-Scaletta Zanclea

martedì 06 Ottobre 2009 - 12:16

Di Caterina Sartori, Presidente dell’Istituto Mediterraneo di Bioarchitettura, Biopaesaggio, Eco-Design onlus

Sebbene ancora non mi sia del tutto noto lo stato in cui versano gli abitati di Giampilieri, Molino e Altolia e le aree limitrofe, a seguito dei fenomeni franosi di questi giorni, una lettura delle immagini trasmesse copiosamente dai mass media mi consente di fare già alcune brevi riflessioni. E’ evidente che i cambiamenti del clima sono in atto e che le recenti manifestazioni atmosferiche ne sono una ulteriore dimostrazione. La presa di coscienza di ciò implica un conseguente adeguamento delle modalità pianificatorie e costruttive del nostro territorio. Che vi siano scelte infelici di localizzazione degli insediamenti abitativi è pure palese. I nostri predecessori non avrebbero edificato ai piedi delle montagne, magari in corrispondenza delle linee di impluvio, su pendii scoscesi e franosi senza curare la tenuta del suolo, o a ridosso dei torrenti se non addirittura nella loro foce.

I rischi connessi a dette modalità di errata gestione del territorio aggravano un quadro di rischio idrogeologico già elevatissimo, a causa dei disboscamenti, dei frequenti incendi e dell’abbandono progressivo e irrefrenabile delle campagne, dall’assenza di qualsiasi opera di regimentazione delle acque e di manutenzione dei versanti collinari, oltre che, naturalmente, a causa della pendenza e dell’esposizione di molte aree e della natura dei terreni. Una lettura puntuale dello stato in cui versa il patrimonio abitativo dei centri colpiti dal disastro potrà evidenziare ancor meglio quanto detto e cioè la stretta connessione tra l’entità e l’esistenza o meno di danni e disastri, in rapporto alla localizzazione delle abitazioni. E’ necessario dunque intervenire affinché, innanzitutto, si prenda coscienza della necessità di adeguare le scelte urbanistiche e localizzative in funzione delle considerazioni fatte, tra cui, non ultima, la questione dei cambiamenti climatici e tendenza ad una tropicalizzazione dei fenomeni atmosferici. Tutto ciò, ovviamente, al di là delle considerazioni e delle verifiche necessarie tese ad accertare le responsabilità in materia di abusivismo edilizio e mancato controllo del territorio.

Lo stato di abbandono in cui versa generalmente il territorio della nostra provincia, richiede un programma capillare di interventi, ma non secondaria è la necessità pure opportunamente evidenziata dal ministro Prestigiacomo, di un coordinamento adeguato e capace che sappia spendere le risorse disponibili in modo mirato e nell’esclusivo interesse pubblico. Non è infatti con interventi estemporanei e discontinui o con una ragnatela di soggetti più o meno abbarbicati al sistema di clientelismo e appartenenza politica, che può realizzarsi una corretta e accorta gestione del territorio e un progressivo superamento del rischio cui esso è soggetto. Così come è impensabile pensare di curare l’orticello dei propri interessi speculativi, ponendo finalmente un termine a nuovo consumo di territorio.

A Messina è evidente come sia mancata, per troppi anni, una cultura del territorio. La configurazione orografica, i caratteri morfologici peculiari dei luoghi di cui spesso rimane traccia nella stessa toponomastica, avrebbero dovuto suggerire modalità e soprattutto limiti, sconsigliando anche a chi ignorasse i precetti vitruviani, la destinazione edificatoria di molte aree. Vi è una stretta correlazione tra l’esigenza di dare risposte al fabbisogno abitativo e la tutela del territorio. E vi è anche la necessità di una affermazione crescente della legalità nella gestione di quest’ultimo. Che vi sia un’esigenza di abitazioni per i ceti meno abbienti, è un fatto inconfutabile ma che il consumo di territorio debba avere un limite è questione altrettanto evidente. C’è un punto oltre il quale non resta che riqualificare. L’espansione urbana deve essere dettata dai caratteri fisici del luogo e non dall’ingordigia, o anche, purtroppo, talvolta dal bisogno.

La prospettiva di realizzare case in zone diverse da quelle interessate dai recenti eventi è certamente opportuna se supportata da una analisi attenta e ponderata delle singole situazioni. Uno degli obiettivi da perseguire deve essere infatti anche quello di evitare di consumare altro territorio in modo indiscriminato e di lasciare all’abbandono definitivo vaste porzioni urbane che potrebbero invece essere consolidate. Contemporaneamente, tuttavia, occorre bloccare tutte le ulteriori previsioni espansive dell’edilizia privata nella città perché non certamente rispondenti alla domanda reale. Un “Piano Casa” regionale e nazionale dovranno dunque, e potranno essere, una opportuna occasione di riflessione complessiva sulle modalità di intervento nel territorio. Come pensare infatti di aumentare volumi edilizi senza che ciò rientri in una consapevole presa d’atto da parte della strumentazione urbanistica locale, in modo cioè avulso dal contesto territoriale?

Ben venga l’attenzione del Governo nazionale alle esigenze di un Sud troppo a lungo dimenticato ma occorre anche che, l’individuazione di nuove aree per interventi abitativi non prescinda dalla preliminare ricognizione del patrimonio abitativo esistente e disponibile, eventualmente da riqualificare, in una integrazione di funzioni a vari livelli e competenze. Così appare ormai opportuno, anzi indifferibile, il parlare di nuove modalità edificatorie, di bioarchitettura, di risparmio energetico, di norme antisismiche, di tutela idrogeologica, di servizi, di qualità delle imprese, di qualità della città e lo studiare nuove forme per l’attivazione di risorse finanziarie alternative a quelle pubbliche, di interazione pubblico-privato ma ciò solo nell’ambito di regole precise e nell’interesse collettivo.

Rivolgiamo infine un appello al Presidente della Regione che sembra sarà anche commissario per l’emergenza, perché si faccia carico in prima persona di tutta la complessa questione, al fine di dare risposte adeguate sì al settore edile, al mondo delle imprese e del lavoro che attorno ad esso gravita, ma tentando al contempo di trovare una convergenza tra qualità del territorio nel suo complesso (che è certamente anche questione di “qualità del costruire” ma anche di scelte urbanistiche appropriate, di distanze antisismiche tra fabbricati, di ripristino di assetti idrogeologici), ma anche adeguata risposta a chi una casa non ce l’ha e poco gli importa dei premi di cubatura siano essi del 20, 25 o 30 per cento. L’adeguamento sismico dell’edificato così come l’applicazione dei criteri di qualità potranno essere oggetto di un impegno finanziario da individuare nel prelievo fiscale e anche mediante l’attivazione delle specifiche risorse comunitarie. E’ una scommessa. Le priorità non possono che essere quelle di una riqualificazione del patrimonio esistente e del territorio. Le scorciatoie o l’improvvisazione non sono consentite né ammissibili e l’interesse pubblico non è la sommatoria ma la sintesi di tanti diversi interessi ed il fine di un’azione di governo lungimirante e consapevole.

Caterina Sartori

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