Dilettanti allo sbaraglio
Non è facile per un meridionalista esaminare senza pregiudizi emotivi il tema delle gabbie salariali. E, anche quando si tenta di farlo, rimane sempre il dubbio che le conclusioni siano influenzate da (legittimi) moti dell’animo.
In ogni caso, per dare dignità all’analisi, bisogna abbandonare i proclami da tifosi.
Che conducono solo ai luoghi comuni e agli insulti volgari quanto inutili.
Procedendo a tentoni, tra teoria e pratica, tra macro e microeconomia, si finisce per affastellare argomenti senza arrivare a schiarirsi definitivamente le idee.
Per prima cosa, ammettiamo che il problema ha una sua concretezza: non è affatto scandaloso sostenere che un 16,5% – tanto pare sia secondo gli studi più recenti – di differenza del costo della vita possa influire sulla base salariale.
Risponde anzi a una visione pragmatica del rapporto impresa-lavoratore che non dovrebbe mai ignorare il contesto nel quale tale rapporto si sviluppa.
Analizzando le cause delle differenze nasce qualche dubbio: sono dovute essenzialmente al costo delle case, inteso come affitto e compravendita. I restanti beni e servizi, dai prodotti alimentari all’abbigliamento, dall’arredamento all’energia, non contribuiscono quasi per nulla alle tesi leghiste.
Non solo.
Se è innegabile che a Milano e Roma il costo delle case è maggiore che a Palermo e Bari, altrettanto vero è che, allontanandosi dai grandi centri e girovagando per le valli bergamasche, piemontesi o trentine, si può dormire e mangiare a prezzi ben più bassi di quelli che è possibile spuntare a Letojanni o a Maratea.
Provare per credere.
Insomma, differenziare i salari solo a causa del maggiore costo di immobili e affitti nei grandi centri ci convince molto poco.
Ma potrebbero esserci altre valide ragioni a sostegno della tesi di Calderoli.
Passiamo dalla pratica alla teoria: chi propugna il principio delle gabbie rinnega apertamente la concezione liberista del salario, saldamente collegata alla produttività.
Convertendosi a un egualitarismo piuttosto estraneo alla tradizione meritocratica leghista.
Arrivando al paradosso: un’amministrazione efficiente – che riesce ad abbassare il costo dei servizi pubblici, dalla raccolta dei rifiuti alle tasse scolastiche, dal costo dei trasporti alle imposte locali – darebbe la stura a una riduzione del salario di base.
In tutta sincerità, non ci pare una grande idea!
Se poi si vuole guardare al problema dal punto di vista della tradizionale divisione Destra-Sinistra – o, meglio, destra-sinistra, considerata la qualità dei contendenti – si rimane ancora più confusi.
Al di là dell’antico dilemma se lo Stato debba paternamente intervenire (visione della Sinistra storica) o lasciare fare al mercato, sommo distributore di equità (visione della Destra liberista classica), non è stata proprio la cultura di sinistra a glorificare le peculiarità del –piccolo e del locale, come contraltare al grande stato oppressore?
La storiografia unitaria risorgimentale ha avuto tra i principali contestatori proprio gli studiosi progressisti che esaltavano il valore dei localismi di impronta popolare; per non parlare della stessa nascita delle Regioni, volute dai Governi di centrosinistra con l’appoggio delle sinistre (PCI e PSIUP) e la feroce opposizione di PLI, MSI e monarchici.
Oggi, invertite le posizioni, la destra sostiene i localismi e la sinistra l’uniformità nazionale.
Mah!
A sciogliere questo nodo, teoricamente difficilmente districabile, è intervenuto uno studio della Banca d’Italia e pubblicato alla fine di luglio di quest’anno, dal titolo –L’economia delle regioni italiane nell’anno 2008-.
Si è scoperto così quello che già tutti sapevano: salari e stipendi, al Nord, superano quelli del Sud del 20-22%.
Ora, per coerenza, chi sosteneva le gabbie salariali dovrebbe battersi a favore di una maggiore crescita dei salari del Sud rispetto a quelli del Nord, al fine di recuperare quel 3,5-5,5% che penalizza il Meridione. E gli altri dovrebbero opporsi, sostenendo la legittimità di un tale gap.
In conclusione, l’impressione è che oggi destra e sinistra, di fronte ai grandi temi, si avventurano verso soluzioni utilitaristiche pasticciate e prive di spessore ideale, di segno discordante rispetto alle loro tradizioni.
Soluzioni che, come spesso accade agli improvvisatori, si rivelano solo penose speculazioni elettoralistiche prive di dignità.
Poveri noi, in mano a simili irresponsabili dilettanti della Politica!