Ex Silos Granai, Magazzini Generali ed ex Scuola Donato non possono valere i 24,6 milioni di euro considerati nel Piano: la variante urbanistica che li interessa è stata invalidata dalla Corte Costituzionale. Dell’originario Piano (49 milioni) è “attuabile” solo la metà: 25 milioni
«La deliberazione consiliare del 30 maggio 2009, per la parte relativa agli immobili denominati ex Silos Granai, Magazzini Generali, ex Scuola Donato, appare oggi inattuabile». La “sentenza” di morte del Piano di alienazione predisposto dalla Giunta e approvato dal Consiglio come colonna portante dell’intero bilancio comunale, è firmata dal responsabile del servizio, ing. Armando Mellini, e dal dirigente del dipartimento Espropriazioni, Giovanni Bruno. I quali certificano, «fatto salvo ogni eventuale parere legale», che l’importo complessivo del piano di alienazioni va ridotto a poco più di 25 milioni di euro, «ai quali una volta effettuati tutti gli esperimenti di gara, andranno detratte le riduzioni conseguenti alla contrazione di richiesta registrata sul mercato immobiliare della città di Messina nell’ultimo anno». Considerando che l’intero piano di alienazione ammontava a 49,8 milioni di euro, si capisce bene che affermare che circa la metà è inattuabile significa rendere certo quello che qualcuno pensava ancora fosse solo un problema ipotetico. Ed è un gran problema.
Gli ex Silos Granai, i Magazzini Generali e l’ex Scuola Donato, infatti, raggiungevano un valore stimato complessivo di 24,6 milioni di euro solo grazie alla variante al Piano regolatore che trasformava le tre aree in edificabili. Variante che, secondo quanto previsto originariamente dal comma 2 dell’articolo 58 della legge che regola i piani di dismissioni, era “inclusa” nella delibera stessa di approvazione del Piano. «La deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni – si leggeva nel comma – costituisce variante allo strumento urbanistico generale». Ma questa è una delle parti che la Corte Costituzionale ha giudicato incostituzionali e quindi da cassare, come peraltro avevano segnalato i consiglieri comunali Felice Calabrò (Pd) e Nello Pergolizzi (Pdl).
L’amministrazione Buzzanca, benché si mostri tranquilla, inizia a tremare perché, come più volte detto in sede di approvazione del bilancio di previsione (anche dal ragioniere generale Ferdinando Coglitore), l’equilibrio finanziario di Palazzo Zanca si poggia per intero sul Piano di dismissioni. L’opportunità di un legame così forte tra bilancio e alienazioni sarebbe da valutare, già un anno fa ci fu chi (l’Udc) mise in discussione questo principio, ma oggi il problema c’è ed è reale, anche se si è in attesa di un parere del Collegio di difesa richiesto dagli assessori Orazio Miloro (Bilancio) e Pippo Corvaja (Urbanistica), che però difficilmente potrà fornire indicazioni diverse. I tecnici dicono anche che «le varianti allo strumento urbanistico potranno essere riproposte», ma secondo le procedure standard che sono incompatibili con i tempi stringenti di cui necessità il bilancio comunale per rimanere in piedi. Tutto questo caos fa tornare di scena un fantasma che da anni abita a Palazzo Zanca, e che se ogni tanto rimane nascosto, poi si ripropone continuamente: si chiama dissesto finanziario.