Non è proprio andato giù, al ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, l’emendamento alla Finanziaria che decreta lo scioglimento della società Stretto di Messina. «Lo Stato non è l’unico padrone – ha dichiarato l’ex magistrato – c’è l’arroganza di pensare che dopo di noi non verrà fatto nulla». Secondo Di Pietro sciogliere adesso la Stretto di Messina significherebbe precludere per sempre o comunque per moltissimo tempo la possibilità di realizzare il Ponte. «E’ una questione di etica politica – ha aggiunto – eliminare la società significa togliere il pilastro ad un progetto che forse in futuro si potrà fare».
Ecco, dunque, la proposta di Di Pietro per non disperdere le risorse della Stretto di Messina: «Un subemendamento che autorizzi e dia all’Anas le risorse per acquisire le quote sociali degli altri soci in modo da diventare azionista unico e quindi procedere alla fusione per incorporazione. In questo modo – ha proseguito – manterremo tutto il know how, la qualità della progettazione e le maestranze. Il contratto rimane infatti incardinato in capo all’Anas e non si pagano penali».
Sarebbe la classica chiusura del cerchio, considerando che Pietro Ciucci, attuale presidente dell’Anas, è allo stesso tempo amministratore delegato della Stretto di Messina. Non a caso Ciucci stesso ha fortemente criticato, nei giorni scorsi, l’emendamento di Natale Ripamonti (Verdi), e non ha perso tempo facendo due conti: «L’assorbimento di tutte le quote di Stretto di Messina ci costerebbe il valore delle quote sociali, circa 40 milioni di euro e la società ha un valore perché non viene sciolta. Attualmente l’Anas controlla l’82% del capitale, mentre il 13% è in capo a Rfi e il restante 5% è suddiviso tra Calabria e Sicilia».