Nel giardino di Villa Piccolo, Pietrangelo Buttafuoco presenta il suo ultimo lavoro, un pamphlet molto polemico nei confronti del governatore Crocetta, tra Muos, mafia, antimafia e i mali endemici della Sicilia.
Esistono donne dalla bellezza prorompente e dal sorriso contagioso, le stesse che, ovunque si ritrovino, inevitabilmente attirano su di sé l’attenzione dei presenti. Dalle medesime ci si aspetta sempre, con mediocre immaginazione, un residuo di superficialità, quella dovuta stupidità che è il giusto dazio da pagare alla bruttezza mancata. E, invece, talvolta capita che le donne di cui sopra, una volta presa la parola, risultino pure intelligenti.
Questa casistica, nemmeno troppo rara – con buona pace dei brutti e degli umili – potrebbe essere tranquillamente applicata al giornalista e scrittore catanese Pietrangelo Buttafuoco. Noto alle cronache per la propria formazione politica all’interno dell’assemblea nazionale di AN, nonché per essere il nipote di un celebre senatore dell’MSI, Buttafuoco ce lo ricordiamo soprattutto per la stretta collaborazione al Foglio di Giuliano Ferrara. L’intellettuale di destra, in Italia, diciamolo pure, ha la stessa incidenza dell’unicorno in un saggio di fisica quantistica, eppure Pietrangelo Buttafuoco riesce a travalicare i limiti irti della propria formazione politica, con una vena polemica e dissacratoria, un linguaggio forbito ed elegantemente desueto, un’ironia complessa e mai scontata. Così, mentre mi informo su come raggiungere il luogo dove avverrà la presentazione dell’ultimo lavoro letterario dello scrittore in questione, scorrendo sulle pagine dei quotidiani in rete, balza ai miei occhi la notizia sconcertante: “Arance e martello”, l’ultimo film di Zoro, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Zoro, il prodotto da sottocultura veltroniana, che da anni oramai ci intrattiene a morte come il peggiore dei cabarettisti da villaggio turistico. Improvvisamente, tutto diventa chiaro: andare ad ascoltare Pietrangelo Buttafuoco, è un obbligo morale.
La presentazione è inserita nel ciclo “Politically incorrect – la cultura del dubbio” promosso dalla Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella, nell’ambito della rassegna culturale “Ingressi di paesaggi”. Sulla bellezza del luogo in cui si svolge l’incontro credo sia superfluo indugiare, trattandosi di uno degli ambienti storicamente ed esteticamente più rappresentativi di tutta la Sicilia, mentre una nota di grande merito va alla cordiale accoglienza – dal sapore familiare e arcaico – che l’organizzazione riserva ai presenti, attraverso la mediazione del giornalista palermitano Alberto Samonà e dello stesso presidente della Fondazione, Giuseppe Benedetto.
Proprio nell’incanto dell’osservatorio naturale nel quale Giuseppe Tomasi di Lampedusa immaginò il suo capolavoro tuona la bestemmia di Buttafuoco: “Buttanissima Sicilia”, un pamphlet asciutto e lapidario, una disamina lucida, ma anche molto passionale dell’attuale condizione politica e culturale siciliana. Un libro che non lascia spazio a vittimismi e pietismi dal sapore amaro e nostalgico, ma che, con potenza, si scaglia contro le logiche portanti del pensiero siciliano. Buttafuoco è uno scrittore che non ama perdersi in sommarie generalizzazioni e mira dritto al punto della questione. I mali assoluti, causa dello svilimento della Sicilia, sono ben focalizzati: Mafia, Antimafia istituzionalizzata (indicata come il teatrino in cui “il pegno di sangue di tanti innocenti è diventato pretesto di un mercato per le carriere dei vivi”), Rosario Crocetta, l’uomo che ha fatto dell’omosessualità una categoria politica, il “Pirgopolinice” di uno sbandierata Rivoluzione mai avvenuta (Raffaele Lombardo non viene mai neppure chiamato per nome, se non tramite l’appellativo di Mastro Don Gesualdo); Autonomia, vista come il “frutto della trattativa tra gli indipendentisti in odore di mafia e gli invasori anglo-americani”; Muos, tema molto caro a Buttafuoco, che, nel potente impianto satellitare vede la sintesi della considerazione che gli americani hanno dell’isola: “Un deserto.” E nulla più.
Lo scrittore intrattiene il pubblico con divertenti narrazioni aneddotiche su fatti e misfatti siciliani, poi con voce impostata e urlata si infervora a ricordare i dati Istat che vedono, ad oggi, la Sicilia, un tempo centro propulsivo di movimenti artistici di ogni sorta, all’ultimo posto circa l’alfabetizzazione e, ancora, con tono da Istituto Luce e una innata teatralità, elenca, lasciando trasparire un sarcasmo poco velato, le qualità che l’opinione pubblica ha incollato alla figura del magistrato Antonio Ingroia.
In chiusura interviene il codirettore del Foglio, Giuseppe Sottile, al quale il giornalista ha dedicato il libro, che congeda il pubblico con le parole di Gesualdo Bufalino: “Forse macchiarsi le mani d’ inchiostro è come macchiarsele un poco di sangue, uno scrittore non è mai innocente.”
Giuseppina Borghese