Il decreto n°85 del 2010 prevede il trasferimento, a titolo non oneroso, di beni statali a Comuni, Provincie, Città Metropolitane o Regioni. Più di cinquanta quelli che potrebbero essere “consegnati” a Messina, oltre settanta nei centri della Provincia. Al momento però rimane tutto in stand-by
Un patrimonio immobiliare da 1 miliardo e 300 mila euro, di cui 700 milioni «immediatamente valorizzabili». E’ questa la stima fatta di recente dal capo economista della Cassa depositi e prestiti, Edoardo Reviglio, per quantificare i guadagni che lo Stato potrebbe ottenere nell’ipotesi di vendita di tutte le ricchezze immobiliare presenti nel Paese. Patrimoni spesso abbandonati e che, allo stato attuale, rappresentano per le “casse” pubbliche solo un peso. Un’ipotesi, quella di alienare una parte di tali beni ai privati, che ha fatto destare i sostenitori del “federalismo demaniale”. Esso consiste nell’attribuzione a Comun, Provincie, Città Metropolitane e Regione, “a titolo non oneroso” di beni demaniali. E’ questo quanto si legge del decreto legislativo n°85 del 28 dicembre del 2010, in attuazione dell’articolo 19 della legge n° 42 del 5 maggio 2009, che ne determina l’eventuale attribuzione sulla base di “dimensioni territoriali, capacità finanziarie, competenze e funzioni effettivamente esercitate dalla Regione o dagli enti locali”.
E veniamo al caso di Messina. Sulla base di quanto prescritto dal decreto n°85, entro 180 giorni dall’entrata in vigore della normativa, termine evidentemente non rispettato, il governo, tramite decreti di attuazione, avrebbe dovuto dare seguito alle attribuzioni per singoli Comuni, Provincie, Città Metropolitane o Regione. Tali atti, almeno con riferimento al territorio peloritano, non sono però stati emanati e, alla luce delle ultime “manovre finanziarie”, potrebbero non esserlo mai. La città dello Stretto, così come altri centri italiani, dispone di un patrimonio immobiliare, che al momento rimane solo potenziale, di tutto rispetto. Gli elenchi dei beni non sono ancora definitivi, ma più 50 sono quelli che potrebbero entrare nelle disponibilità del Comune di Messina, oltre 70 nei comuni della Provincia, sia versante ionico che tirrenico.
Andando a “spulciare” tra i fogli dei beni che potrebbero “scivolare” dal patrimonio statale a quello comunale, numerosi terreni e fabbricati in diversi punti della città: via San Raineri: ex-batteria de Cristofaro nella zona Falcata del Porto, valore d’inventario oltre 157 mila euro; viale europa fabbricato (valore oltre due milioni di euro) e relativo terreno, corrispondente ad “aree residuali già facenti parte della Caserma Zuccarello; a Scala Ritiro l’area del Poligono di tiro a segno (4 fabbricati e un terreno del valore di 466 mila euro); in via San Licandro la struttura di alloggi personali attualmente in uso all’Arma dei Carabinieri (valore d’inventario 750 mila euro). Fabbricato di proprietà di Marisicilia nell’area della Zona Falcata attualmente adibito a sportello unico di credito bancario; terreno inedificabile in località Mili Marina lungo la SS114 (24 mila euro); in via torrente trapani terreno dove sorge la galleria cappuccini ex ricovero antiaereo; a Capo Rosocolmo, l’ex-stazione di vedetta con annesso faro, compreso di fabbricato e terreno del valore di 45 mila euro; arenile in contrada Liuzzo, ex-casa cantoniera Anas (10 mila euro). E poi ancora fabbricati e fondi Rustici nei villaggi di Galati Santa Lucia, Santo Stefano Briga, terreni in via del Santo, via Noviziato Casazza, lungo la strada che conduce a Campo Italia. Numerosi, come accennato anche i beni che potrebbero rientrare nel patrimonio di altri Comuni della Provincia.
Un patrimonio di notevole entità, che, se ben amministrato, potrebbe rappresentare per l’amministrazione un valore aggiunto. Ma il se, lo ribadiamo, è d’obbligo, perché come dimostrato anche nel caso delle recenti dismissioni immobiliare effettuate dal Comune per fare cassa, tale ricchezza può invece trasformarsi un “peso”. Il decreto prevede inoltre che Regioni o enti locali possano trattenere per sé le risorse ottenute dall’eventuale alienazione di beni loro attribuiti, ma solo dopo l’eventuale adozione della variante urbanistica e del parere positivo dell’Agenzia del demanio. I “guadagni” delle vendite verrebbero acquisiti dell’ente territoriale per un ammontare pari al 75%: “Tali risorse – si legge nel testo – sono destinate alla riduzione del debito dell’ente e, solo in assenza del debito o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento. La residua quota del venticinque per cento è destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato”.
Occorre dunque un programma ben definito che permetta di stabilire in modo chiaro, nel caso in cui tale trasferimento avvenga, le tipologie dei vari beni e il tipo di “futuro” che gli si vuole riservare: «Per una gestione ottimale – afferma l’assessore al patrimonio Franco Mondello – sarebbe necessario fare una classificazione e decidere se, mantenere, valorizzare, o vendere. Per fare questo e decidere di lavorare bene in tal senso, il dipartimento dovrebbe godere di un “ufficio stralcio” che si occupi solo di tale settore ed evitare che tutto ciò ricada nell’amministrazione ordinaria». (ELENA DE PASQUALE)