All’interno del progetto Epic, arriva Pasolini al Teatro dei 3 Mestieri
“Le parole che si perdono e non si trovano più, questa luce dei fari. L’ultimo bacio di mia madre, la strada giusta, la strada giusta per mio padre. Puzzo di frenata. Correre in sogno. Le vetrinette in salotto, le pacche sulla spalla…”
Con queste frasi spezzate ha inizio un viaggio nella memoria, un invito al lottare per ciò che si ama e all’amare il coraggio con cui si lotta.
A seguire le note di “Cosa sono le nuvole” di Domenico Modugno, scelta non casuale (Pier Paolo Pasolini volle Modugno come interprete del suo film ad episodi Capriccio all’italiana. Il cantautore è protagonista dell’episodio dal titolo “Che cosa sono le nuvole?”, per il quale fu Pasolini a scrivere il testo dell’omonima celebre canzone interpretata da Modugno).
“PPP amore e lotta. Dico il vero” vuole, infatti, essere uno specchio su Pier Paolo Pasolini, sul Pasolini uomo, prima ancora che artista. Un ritratto inedito, intimo e sincero di uno dei nostri maggiori intellettuali, della sua personalità complicata e della sua libertà espressiva.
“PPP amore e lotta. Dico il vero”
Lo spettacolo, in scena al Teatro dei 3 Mestieri, è un Primo Studio teatrale, prodotto da Globo Teatro Festival a cura di Matteo Tarasco (primo e unico regista italiano nominato membro del Lincoln Center Theatre Directors Lab, New York City, in cui ha lavorato nel 2006 e 2007).
Il testo originale di Katia Colica incontra, con naturalezza, continuità e rispettosità, alcuni passi della poetica di Pasolini. Le parole della drammaturga si fondono a quelle del poeta, in un profondo sguardo sul suo universo familiare. Per la prima volta il Pasolini di Americo Melchionda (dall’impressionante somiglianza) si mostra come figlio e fratello; protagonista in scena con la madre Susanna (Maria Milasi) e il fratello Guido (Andrea Puglisi), giovanissimo partigiano morto nell’eccidio di Porzûs, tra i più tragici eventi della lotta di Resistenza.
Le musiche a cura di Antonio Aprile, i costumi di Malaterra e la scenografia di Melis-Lazzaro offrono spessore e intensità alla narrazione.
Lo spettacolo, produzione Officine Jonike Arti, appartiene al progetto EPIC (Esperienze Performative di Impegno Civile) di Mana Chuma Teatro, in partenariato con Rete Latitudini e Teatro dei 3 Mestieri, per promuovere il teatro nelle periferie. Sostenuto dal contributo del Comune di Messina e dai fondi FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) del Ministero della Cultura.
Pasolini uomo, figlio, fratello
I tre personaggi si raccontano, a partire dal loro tragico vissuto.
La disperazione di Susanna, una donna che non è più moglie nè madre, cui rimane solo l’attesa, vana e illusoria: “È che ti aspetto ancora. Vi aspetto tutti e due, per capire come vi siete smarriti, qual è la mia colpa, in quale strada del bosco vi ho perduti. Vi aspetto per farmi raccontare la faccia dei lupi che vi hanno sbranato”.
Il dolore di Guido che sente il bisogno del fratello, non si rassegna a perdere quel legame: “Dicono di te che hai perduto la strada di casa, che ti sei fermato in un posto, dovevi vedere qualcuno, e alla fine non ti sei più mosso da lì… Dicono che hai appeso ai tergicristalli della tua automobile una bandiera con cui volevi coprirmi per non farmi prendere freddo, di notte”.
E il senso di dovere di Pier Paolo nel raccontare “la generosità, il coraggio, l’innocenza” del fratello Guido; pur nell’incomprensione del suo amore per quegli ideali che lo hanno portato alla morte, e il rimprovero nei confronti della madre che li aveva alimentati con le sue fiabe che “mescolavano amore e lotta”.
“Ora che so che sei morto un po’ ti conosco veramente – scrive Pasolini al fratello defunto – Sei morto per la libertà, ma per me sei semplicemente morto. Non credo a questa illusione umana in cui tu hai umanamente creduto… Ma ho promesso alla mamma di cantarti – continua – farò conoscere il tuo coraggio e quell’idea forte per cui tu sei morto”.
Tra reale e irreale, fuori dal tempo
I tre personaggi si cercano senza mai incontrarsi, si sfiorano senza mai stringersi, tra dimensioni fuori dal tempo e dallo spazio. Pasolini stesso si domanda se ciò che vede è un sogno, o se è in dormiveglia. “Tu dici il vero” ripetono i personaggi a Pasolini, “Io dico sempre il vero” conferma lui. Ma quello che avviene tra loro è verità o allucinazione? Il Pasolini che racconta è reale o è uno spettro? All’interno di questa confusione senza tempo niente viene chiarito, così come non sarà mai chiarita la morte di Pasolini, protagonista silenziosa della narrazione.
La morte di Pasolini
Risuonano sul palco le notizie riportate dai giornali dell’epoca: Pier Paolo Pasolini muore nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975. Il suo corpo massacrato viene trovato, alle 6.30 del mattino, da una donna, sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia. Il poeta è stato brutalmente assassinato e travolto più volte dalla sua stessa aiuto.
Quella notte apre un giallo irrisolto. Accusato e poi condannato per l’omicidio è Pino Pelosi. L’allora diciassettenne confessa di aver ucciso Pasolini, dopo una lite causata dalle pretese sessuali del poeta. Molti punti della confessione di Pelosi, però, sono deboli. Solo nel 2005, due anni prima di morire, Pelosi ritratta la sua confessione, dichiarando di non essere stato lui l’esecutore materiale della morte di Pasolini. Così riesplodono le domande e le possibili risposte: dal tentativo di rapina, al complotto politico, all’estorsione, alla violenza sul poeta per la sua omosessualità. Nessuna, però, risolve il mistero di quella morte che interroga lo spettacolo, e alimenta la sua riflessione sulla memoria e sul tempo, un tempo che ci vede appena. “Povero infelice tempo. Così è stato e così si racconta il mio misero tempo senza colpevole”.
Cosa è vero?
Una storia, quella raccontata, piena di punti di domanda, punti in sospeso, confusioni e incertezze. Un’ambiguità che non vuole essere spiegata, coerentemente anche allo stile dell’intellettuale, e in richiamo soprattuto al suo manoscritto postumo Petrolio; un’ambiguità che a volte incuriosisce lo spettatore, altre volte lo allontana. Senza lieto fine: “Desidero il lieto fine, ma il lieto fine è sempre lotta”.
La narrazione, dai toni marcati, in un viaggio tra la forza della poesia e il valore della memoria di ciascuno di noi, vuole farsi inno di quella lotta, lotta per ciò che si ama e per ciò in cui si crede. Nonostante ogni domanda.
“Tu dici sempre il vero.
Non è questo.
E cosa è allora?”.
Così si chiude il sipario (solo per ora) su “PPP amore e lotta. Dico il vero”.